Punti, competizione, livelli, ricompense, premi: elementi che richiamano alla mente i giochi e i videogame, ma che possono trovare applicazione in svariati ambiti della vita, non ultimo l’ambito formativo e della scuola.
Parliamo della gamification, ovvero dell’uso di elementi di game design in contesti di per sé estranei al gioco.
Lo scopo della gamification è quello di indurre il soggetto coinvolto a comportamenti attivi, stimolandone la partecipazione e anche il divertimento al fine di attuare azioni virtuose.
Il veicolo è un sistema di riferimento cognitivo familiare e sin da subito ben masticabile, soprattutto – nel caso dei videogame – se ci riferiamo a una fascia d’età giovanile.
Attraverso lo stimolo della partecipazione per mezzo di meccanismi premiali e/interattivi, la gamification permette di ripensare tutta una serie di attività che, altrimenti, sarebbero considerate meno coinvolgenti o addirittura noiose.
È in questo senso che il game design si presta all’apprendimento, che in certi aspetti diviene più coinvolgente e stimolante: cresce il senso di appagamento e si potenziano il ragionamento e le capacità di problem solving.
Prevedere e valutare le conseguenze delle proprie azioni è un punto fondamentale nelle attività di gamification portate avanti nelle scuole da parte di ReteSviluppo..
La simulazione di gioco permette, infatti, di prevedere azioni e risposte nell’ambito di una dinamica sociale nella quale gli studenti sono solitamente calati.
Tanto per fare un singolo esempio, ReteSviluppo porta negli istituti secondari di primo grado un’attività ispirata ad Among Us, un gioco online particolarmente in voga tra i preadolescenti.
La meccanica di gioco prevede l’individuazione di un impostore che si nasconde tra i personaggi, in una sorta di lupus in tabula digitale.
Questo stesso meccanismo viene portato tra i banchi di scuola, dove la missione è individuare l’impostore in mezzo a una serie personaggi che attuano comportamenti più o meno scorretti o controproducenti, stimolando una riflessione in merito alle conseguenze che hanno le azioni che scegliamo di mettere in atto nella vita quotidiana.
Così facendo il videogioco è a servizio dell’apprendimento, poiché stimola attraverso l’interattività e un linguaggio ben noto una serie di riflessioni utili alla formazione personale.
Un fenomeno in costante crescita nel mondo, con radici profonde.
Quando parliamo di gamification possiamo fare riferimento a un mercato specifico, che si individua in quello dei cosiddetti “giochi seri”, ovvero giochi volti interamente all’apprendimento, alla riflessione sociale e così via. Negli ultimi anni il mercato di questi giochi è cresciuto vertiginosamente. Nei soli Stati Uniti il valore di mercato dei giochi seri sarà triplicato nel 2023 rispetto al 2017, raggiungendo quasi 10 miliardi di dollari.
Il concetto di gamification e di gioco serio però non sono una novità odierna.
Riflessioni in merito a questo risalgono ad epoche ben precedenti la nostra.
“Il gioco è una cosa seria, tremendamente seria”
– Jean Paul (1763 – 1825)
L’idea di dare connotazione seria al gioco, o comunque di usare meccaniche di gioco “prestandole” ad altri ambiti, risale addirittura a Platone, che considerava il gioco un elemento utile per portare i più piccoli a replicare determinati comportamenti una volta divenuti adulti.
Rousseau, in tempi più recenti, sosteneva che per un bambino il lavoro e il gioco fossero concetti non distinguibili.
Freud individuava nel comportamento attuato durante il gioco un elemento da analizzare per comprendere al meglio l’interiorità di una persona.
Queste riflessioni hanno portato ad alcuni grandi esperimenti di gioco serio, come accaduto nel 1903 con il “Landlord’s game”, un antenato del Monopoli che aveva come scopo il far riflettere sui tanti risvolti negativi del capitalismo.
Oggi il gioco serio si concretizza anche in ambito digitale mutuando, come abbiamo visto, meccaniche, narrazioni e ambientazioni dai videogame.