Consumi: toscani più poveri rispetto al 2007

by Tommaso Rossi on 29 Luglio 2014

La crisi morde anche in Toscana e le famiglie adeguano la loro spesa alla situazione economica.  Secondo l’approfondimento di reteSviluppo, spin off dell’Università di Firenze, su dati Istat, la spesa media mensile per famiglia in Toscana nel 2013 è pari a 2.567 euro, registrando una diminuzione del -2,2% rispetto al 2007. “Dopo sei anni – commenta rete Sviluppo  – le famiglie spendono mediamente 59 euro in meno al mese. Da sottolineare però che la contrazione verificatasi a livello regionale è stata di dimensioni più contenute rispetto a quella nazionale, dove la riduzione mensile media è ancora superiore, pari a circa 121 euro (-4,9%)”. L’analisi approfondita dei dati evidenzia come la Toscana abbia avuto un picco negativo nel  2009 da cui è uscita nel 2011, addirittura con valori più alti della fase pre-crisi. In Italia, al contrario, nel 2013 la media ha raggiunto un valore inferiore rispetto a quello regionale: le famiglie spendono in media 208 euro in meno al mese rispetto a quelle toscane.

L’approfonConsumi dimento si concentra sui dati che riguardano la nostra regione. Alla fine del  2013 le famiglie toscane spendono 470 euro per alimentari e bevande, 7 euro in più rispetto a sei anni fa (461 euro a livello nazionale). Sono invece in diminuzione gli acquisti dei prodotti non alimentari: ben 64 euro in meno al mese rispetto al 2007. Un confronto tra la spesa per generi alimentari e bevande e generi non alimentari mostra tuttavia come questi ultimi rappresentino ancora oltre l’80% della spesa del budget familiare. Continua ad avere un peso significativo all’interno del budget familiare la spesa per la casa che assorbe circa 1/3 delle spese complessive; positiva anche la crescita della spesa per l’istruzione (+40%). Preoccupano i dati sulla diminuzione della spesa per la salute (-4,2% rispetto al 2007), indicativi delle criticità che stanno vivendo le famiglie toscane; normalmente la salute è sempre una delle ultime voci che vengono intaccate e se la contrazione dei consumi riguarda anche questo settore significa che i toscani hanno già tagliato la maggior parte delle altre voci di spesa non alimentari.

“Questa dinamica – sottolineano i ricercatori – mostra come le famiglie toscane stiano mediamente perdendo potere d’acquisto e come stiano orientando la spesa soprattutto verso beni di prima necessità rispetto ai cosiddetti beni superiori: dal 2007 al 2013 hanno tagliato in particolare su abbigliamento e calzature (-20%), comunicazioni  (-12%), trasporti (-9%), mobili, elettrodomestici e servizi per la casa (-10%), tempo libero, cultura e giochi  (-7%)”.

“La contrazione dei consumi – conclude reteSviluppo –  influenza inevitabilmente il trend economico generale alimentando le difficoltà della produzione e delle aziende, che a sua volta provoca l’aumento dei disoccupati e dei cassa integrati. Per intervenire su questa spirale sarebbe strategico intervenire attraverso un processo di detassazione rivolto alle famiglie, in particolare verso quelle a reddito fisso. Sembra dunque positiva la “manovra degli 80 euro al mese” portata avanti dal governo Renzi  che potrebbe rilanciare la domanda interna.  Sarebbero necessarie ulteriori manovre strutturali complementari capaci di incidere sul sistema fiscale e concreti investimenti per lo sviluppo economico, tecnologico e per la ricerca, fondamentali per la ripresa dell’economia e dell’occupazione. Su questo versante non si intravedono ancora interventi significativi e probabilmente saranno soltanto questi ultimi a dare un contributo decisivo per risollevare la situazione economica anche in Toscana”.

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Tommaso RossiConsumi: toscani più poveri rispetto al 2007

Sempre più imprese stipulano il “Contratto di rete” . Da inizio 2013 +25%.

by Tommaso Rossi on 8 Luglio 2014

Sono sempre di più le imprese che hanno deciso di mettersi in gioco e di affrontare i mercati globali con un nuovo strumento, il cosiddetto contratto di rete, che permette alle PMI che la sottoscrivono di fare squadra su progetti condivisi che, per dimensione, complessità e capacità innovativa, una singola impresa non potrebbe sostenere.

Secondo i dati INFOCAMERE elaborati da reteSviluppo oggi sono ben 7,870 le imprese coinvolte in 1,590 contratti di rete ed il numero è in costante crescita:  negli ultimi 18 mesi sono stati attivati 260 nuovi contratti e circa 2000 sono le imprese (+24,8%) che sono entrate a far parte delle reti. Ad ulteriore conferma di un trend in ascesa gli ultimi dati maggio-giugno segnano un ulteriore aumento del 5,2% nelle imprese coinvolte.

Ci troviamo di fronte ad una popolazione di imprese mediamente più dinamica della media nazionale: nelle reti, infatti, è forte la presenza di aziende che si occupano di manifattura hi-tech e di servizi ad alto contenuto di conoscenza. Fra le imprese dei servizi (51,6% del totale) ben 1 su 2 si occupa di servizi avanzati, fra le imprese manifatturiere (36,2% del totale) 1 su 3 è hi-tech e fra  le imprese di costruzioni (12,2 %)  più di 1 su 2 è svolge attività specializzate.

Infografica reti di impresa

Secondo Marco Scarselli, ricercatore di reteSviluppo – ente di ricerca spin-off dell’Università di Firenze – “bene l’adozione del contratto da parte delle imprese più dinamiche ma è necessario incentivarne l’utilizzo anche da parte di quei settori del Made in Italy e dei distretti industriali per il quale il contratto è stato pensato e nei quali ancora ha avuto una modesta applicazione

Le reti di imprese permettono del resto, da un lato, il mantenimento dell’indipendenza e dell’identità delle singole imprese partecipanti alla rete e, dall’altro, il miglioramento della dimensione necessaria per competere sui mercati globali.

Si tratta, pertanto, di uno strumento adatto al tessuto imprenditoriale italiano, composto da micro, piccole e medie imprese molto efficaci ma spesso incapaci di competere in termini di innovazione ed internazionalizzazione con imprese più strutturate e di maggiori dimensioni.

In tale contesto è chiaro allora che la parola d’ordine è innovazione”.

E proprio per tale motivo il D.L. n.78/10 ha istituito un’agevolazione fiscale, a favore delle imprese aderenti a un contratto di rete, consistente in un regime di sospensione di imposta sugli utili d’esercizio accantonati ad apposita riserva e destinati al fondo patrimoniale per la realizzazione degli investimenti previsti dal programma di rete, che abbia ottenuto la preventiva asseverazione da parte degli organismi abilitati.

E anche le Regioni, a ben vedere, nell’ambito dei loro poteri, potrebbero intervenire con agevolazioni fiscali, per esempio in materia di Irap.

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Tommaso RossiSempre più imprese stipulano il “Contratto di rete” . Da inizio 2013 +25%.

Money transfer e riciclaggio nella comunità cinese tra Firenze e Prato

by Tommaso Rossi on 4 Luglio 2014

Negli ultimi mesi nell’area metropolitana toscana, in particolare a Firenze e a Prato, sono aumentate le segnalazioni di operazioni finanziarie sospette a carico di cittadini stranieri, operazioni che provengono, in via prioritaria, da alcuni Paesi ‘a rischio’. La Cina in questo campo primeggia incontrastata: più del 40% delle segnalazioni di operazioni sospette a carico dei cittadini stranieri riguarda infatti cinesi.

Milioni di euro partono da Prato e Firenze, con destinazione Cina, tramite agenzie di money transfer, passando spesso da anonime fiduciarie e dalla cosiddetta banca di “tramitazione”, ossia la banca attraverso la quale transita il denaro inviato dal money transfer per essere successivamente veicolato alla sua destinazione finale (in alcuni casi, la stessa Bank of China, banca presente in Italia fin dal 1996 e il cui azionista di maggioranza, attraverso la Central Huijin Investment, è niente meno che lo Stato cinese). Secondo i dati della Banca d’Italia, in provincia di Firenze dal 2008 – data di inizio della crisi economica – ad oggi le rimesse cinesi verso la madrepatria ammontano ad oltre mezzo miliardo di euro, circa 94 milioni l’anno. Ancora più rilevante il fenomeno a Prato dove, nello stesso periodo, il territorio ha assistito ad un vero e proprio fiume di denaro in uscita verso la Cina: 267 milioni di euro ogni anno. Non tutto questo denaro è frutto di attività illecita, ma allo stesso tempo è altamente probabile che una parte del fenomeno sia rimasta sotto traccia.

retesviluppo-ig-firenze

Già un lavoro su capital flight e paradisi fiscali del Centro Studi Strategici Internazionali imprenditoriali dell’Università di Firenze svelava che tramite filiali colluse di agenzie di money transfer vengono dunque trasferiti i frutti dello sfruttamento del lavoro nero, della contraffazione e dell’evasione fiscale mediante migliaia di tranches sottosoglia di segnalazione, spesso a nome di persone inesistenti o decedute. Alla base di tutto, purtroppo, vi è spesso la clandestinità, che va ad ingrossare le file della manodopera a nero e a basso costo (proprio perché clandestina), utilizzata dai cosiddetti confezionisti cinesi, i quali guadagnano anche con un altro “trucchetto” fiscale, peraltro incentivato dalle norme della madre patria cinese: sull’enorme flusso del denaro dall’Italia alla Cina può infatti influire anche il fatto che il governo cinese concede un notevole credito di imposta a chi esporta tessuti. Così le fatture in partenza dalla Cina sono sovrastimate (per incassare più credito di imposta), mentre quelle in arrivo in Italia sono sottostimate (per pagare meno Iva e dazi). Il destinatario, però, deve comunque poi pagare la differenza e lo fa appunto, a nero, attraverso i money transfer.

I dati della Banca d’Italia, elaborati sulla base delle segnalazioni degli sportelli money transfer, rivelano negli ultimi anni un crollo delle rimesse inviate da Prato e Firenze in Cina, tali dati però sono palesemente contraddetti da quanto invece emerge dalle indagini della Guardia di Finanza, che, anche recentemente, hanno dimostrato che solo alcuni money transfer pratesi hanno in realtà inviato in Cina più di tutte le rimesse che risultavano ufficialmente inviate da tutti gli sportelli della provincia di Prato secondo i dati Bankitalia. Il fenomeno riguarda naturalmente anche Firenze e non solo con riferimento alle rimesse tramite money transfer, tanto che già nel 2011 la Prefettura e la Camera di Commercio di Firenze avevano preparato un vademecum per le imprese su legalità e sicurezza in cui veniva trattato il tema delle transazioni di denaro con l’estero.

Recenti indagini hanno inoltre scoperchiato un giro di evasione per centinaia di milioni di euro: importatori di nazionalità cinese ed italiana immettevano nel territorio comunitario merci di origine e provenienza cinese, dichiarando valori imponibili assolutamente ‘fuori mercato’ e comunque apparentemente inidonei a consentire anche la sola copertura dei costi delle materie prime contenute nelle merci importate. Dietro tali elementi c’era dunque il sospetto di contrabbando doganale aggravato di tessuti, oltre alla commissione di altri reati di natura fiscale. La metodologia fraudolenta si basava in particolare sull’utilizzo di aziende, appositamente costituite, c.d. ‘cartiere’, utilizzate per brevi periodi, prive di una vera e propria struttura operativa (depositi e magazzini), economica e finanziaria, i cui rappresentanti legali, dietro il pagamento di un compenso, accettavano di figurare come titolari o legali rappresentanti delle stesse, senza svolgerne le relative funzioni. Le suddette cartiere all’atto dell’importazione, per non versare l’Iva all’Erario, ricorrevano alla procedura del deposito Iva in regime di sospensione d’imposta. Nello specifico, dopo aver estratto la merce mediante l’emissione di autofattura, la consegnavano direttamente alle ditte cinesi interessate, che in questo modo determinavano un’ingente evasione fiscale e concorrenza sleale nel settore commerciale.

Lo schema di tale tipo di frode è (purtroppo) tipico ed ormai ben conosciuto, basato sullo sfruttamento della possibilità di importare beni senza il pagamento dell’Iva attraverso la loro introduzione in depositi fiscali presenti sul territorio nazionale. La possibilità di estrarre i beni dal deposito fiscale senza che vi sia alcun effettivo esborso d’imposta viene quindi utilizzata dalle società organizzatrici dell’attività fraudolenta per interporre fittiziamente nelle operazioni di estrazione operatori di loro creazione, che non sono altro che le ‘società fantasma’ precedentemente descritte. L’utilizzo dei suddetti operatori commerciali interposti consente inoltre di creare indebiti crediti IVA a favore delle società destinatarie, alle quali le merci vengono successivamente vendute, tramite una vendita nazionale. Formalmente poi le dichiarazioni doganali vengono presentate a nome dei soggetti economici di comodo, al fine di rendere di più difficile individuare la portata della frode, frazionando e celando le reali responsabilità nell’illecito, anche nella prospettiva di ostacolare un’eventuale azione di recupero dei tributi evasi. Il tutto con la complicità di società esportatrici e case di spedizioni, che predispongono o fanno predisporre all’estero la documentazione commerciale e di trasporto necessaria ad aggirare i controlli doganali.

Secondo Lapo Cecconi, ricercatore di reteSviluppo – ente di ricerca spin-off dell’Università di Firenze – le indagini della Guardia di Finanza rivelano sistemi illegali dell’imprenditoria cinese solo all’apparenza complessi, che in realtà sfruttano una regolamentazione dei mercati lacunosa su molti aspetti. Il risultato è che in questi ultimi anni il territorio fiorentino e pratese si sono trovati a tentare di ‘fermare il mare con le mani’: ogni giorno milioni di euro abbandonano queste province, fuoruscendo quindi dal tessuto produttivo locale per dirigersi verso la Cina e altri Paesi. Lasciando per un attimo in secondo piano tutti quegli elementi relativi all’illegalità diffusa e all’evasione fiscale che caratterizza i sistemi che abbiamo descritto, vi è poi un discorso legato alla mancanza di liquidità del territorio, in un periodo storico in cui il sistema bancario evidentemente non sta facendo fino in fondo il proprio dovere di supporto al sistema produttivo. In questo momento siamo come un acquedotto pieno di piccoli fori: se non lo ripariamo per tempo il rischio di restare senza adeguate risorse finirà per diventare sempre più concreto.

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Tommaso RossiMoney transfer e riciclaggio nella comunità cinese tra Firenze e Prato

Rimesse cinesi, ogni giorno Prato perde mezzo milione di euro

by Tommaso Rossi on 24 Giugno 2014

Le aziende cinesi a Prato realizzano una produzione annuale che varia dai 2 ai 2,3 miliardi di euro, secondo uno studio condotto da Irpet, con un contenuto di valore aggiunto variabile tra i 680 e gli 800 milioni di euro, vale a dire tra il 10,9% e il 12,7% del totale del valore aggiunto dell’intera provincia, ma più della metà se consideriamo il solo settore del tessile-abbigliamento. L’imprenditoria cinese a Prato negli anni è cresciuta non soltanto nel settore dominante del territorio, allargandosi anche al commercio e ai servizi.

Prato è anche la provincia toscana in cui le rimesse cinesi raggiungono i valori più elevati: dal 2007 al 2009, in media, 423 milioni di euro l’anno hanno lasciato il territorio diretti verso la Cina, cifra che si è abbassata nel triennio 2010-2012 ad una media annuale di 196 milioni di euro, anche se occorre dire che basterebbe far partire fisicamente le operazioni da un’altra provincia per mascherare i flussi di denaro in uscita da Prato. Ad ogni modo tra il 2005 ed il 2012 la provincia laniera ha visto crescere le rimesse verso la Cina del 930%. La fuga di capitali all’estero (capital flight) provoca inevitabilmente un prosciugamento di risorse a capacità produttive del territorio, è del resto un fenomeno molto più complesso di quanto possa apparire dalla sua definizione: ogni anno escono dall’Italia capitali per decine e decine di miliardi di euro.

Le infografiche di ReteSviluppo

Un’operazione a Prato della Guardia di Finanza, chiamata, non a caso, “Cian Liu”, (Fiume di denaro), ha messo in luce quello che è un fenomeno in continua espansione, fondato sul pericoloso binomio evasione fiscale/riciclaggio. L’indagine ha infatti a suo tempo intercettato un vero e proprio fiume di denaro indirizzato dall’Italia (tramite San Marino) verso la Cina per quasi tre miliardi di Euro, movimentato tramite una società di money transfer con sub agenzie sparse in tutta Italia ed in particolare in Toscana. Nel 2008, per comprendere l’entità del fenomeno, uno degli evasori coinvolti nell’inchiesta aveva dichiarato redditi per 17 mila euro e intanto spediva in Cina quasi 2 milioni di euro.

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Firenze, Lucca e Siena: la Riforma del Terzo Settore inciderà di più

by Tommaso Rossi on 13 Maggio 2014

La presentazione della linee-guida della Riforma del Terzo Settore da parte del governo Renzi prevede azioni e risorse che avranno una ricaduta importante su un settore che, negli anni della crisi, ha avuto un ruolo fondamentale nell’ammortizzare gli effetti, soprattutto occupazionali, portati dal clima congiunturale recessivo. Per la Toscana gli effetti di una riforma del settore potrebbero avere effetti ancora più dirompenti rispetto ad altre zone d’Italia: secondo un indice statistico calcolato da reteSviluppo S.c., spin-off dell’università di Firenze, ben 3 province toscane – Firenze, Siena e Lucca – si collocano nelle prime 15 posizioni a livello nazionale per quota di addetti e volontari impegnati quotidianamente nel Non Profit: Siena è terza, Firenze e Lucca rispettivamente undicesima e dodicesima.

reteSviluppo

Emerge con chiarezza quanto sia di vitale importanza il settore dell’economia sociale per questi territori: a Siena, terza in Italia dietro soltanto a Bolzano e Trento (il Trentino Alto Adige è primo in Italia anche nei dati occupazionali regionali), il 19,6% della popolazione si impegna attivamente nel Non Profit. Nella provincia di Firenze e in quella di Lucca il dato si abbassa e si attesta intorno al 14,2%, ma rimane altissimo se comparato con le altre province del territorio nazionale. Non è azzardato affermare che Siena, Firenze e Lucca possano considerarsi delle vere e proprie eccellenze italiane nel Terzo Settore.

A conferma di quanto detto, si può inoltre notare che Firenze, con più di 64 mila tra addetti e volontari impegnati nel terzo settore è prima fra i comuni delle grandi città italiane e dei capoluoghi di regione. Il 17,9% della popolazione del capoluogo toscano è impegnata attivamente nel Terzo Settore, un dato rilevante, soprattutto se confrontato con quello delle tre principali metropoli italiane: Milano (11,5%), Roma (9,8%) e, più distante, Napoli (3,9%).

La Toscana ha nel proprio DNA il solidarismo e una diffusa coscienza civica, tutto questo si traduce nei numeri rilevanti che abbiamo visto a proposito dell’economia sociale e del Non Profit. La nostra regione può quindi guardare con fiducia a spinte e processi di riforma che hanno come obiettivo quello di promuovere un settore che, come detto, rappresenta già uno dei più dinamici sul nostro territorio.

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Tommaso RossiFirenze, Lucca e Siena: la Riforma del Terzo Settore inciderà di più

Artigianato toscano: perse 9 mila imprese durante la crisi

by Tommaso Rossi on 24 Aprile 2014

L’artigianato rappresenta un tassello fondamentale del mosaico produttivo della Toscana, eppure dall’inizio della crisi economica l’intero comparto è stato uno tra i più colpiti: il numero di imprese è passato dalle quasi 119 mila del 2008 alle 110.649 del 2013, con una perdita media di oltre 1.600 imprese l’anno. Secondo i dati Unioncamere nell’attuale congiuntura, la Toscana avrebbe visto diminuire del 7% il proprio patrimonio imprenditoriale artigiano, anche se l’intensità di tale crisi ha conosciuto gradazioni diverse a livello provinciale: si parte dal -2,3% di Massa-Carrara, al -2,4% di Prato, passando per il -5,2% di Firenze fino al -9,8% di Siena.

I dati ruvidi del settore sono quindi accomunati a livello regionale dal segno meno e le elaborazioni compiute da reteSviluppo, società di ricerca – spin off dell’Università di Firenze, rivelano che l’artigianato toscano, così come nel resto del Paese, ha pagato soprattutto la crisi del settore edilizio; tale comparto è stato il primo ad essere colpito nell’ormai lontano 2008 e ha riscontrato una diminuzione del numero di imprese dell’11% attestandosi, nel 2013, a 45.182. Un contributo negativo proviene anche dal settore Manifatturiero, il cui numero di aziende è diminuito del 4,6%: un comparto che comprende tutte le realtà dell’indotto della grande industria toscana e molte delle eccellenze regionali nei campi dell’artigianato tradizionale e artistico.

Segnali positivi provengono invece da alcuni settori minori dell’artigianato toscano in termini di numero di imprese: in agricoltura le aziende sono cresciute del 4,8% rispetto al 2008, così come nelle attività ricettive legate al turismo (+9,5%); è molto buono anche il saldo di imprese artigiane nei settori del Noleggio, agenzie di viaggio e servizi di supporto alle imprese (+18,7%). Tali dati, commenta il Presidente reteSviluppo Lapo Cecconi, segnalano in maniera evidente che “anche nell’artigianato è in atto un processo di terziarizzazione, ovvero di maggiore sviluppo di quelle attività legate ai Servizi”.

Il patrimonio di saper fare e strutture di impresa legate alla Manifattura restano tuttavia centrali per l’artigianato toscano: proprio nei giorni della Mostra dell’Artigianato, che si celebra a Firenze dal 24 aprile al 1° maggio, pare utile riportare al centro dell’agenda politica questo modo di fare impresa che per secoli ha rappresentato il nucleo dell’attuale struttura produttiva regionale e degli stessi distretti industriali toscani. Nell’ambito della formazione dei giovani, la Toscana si è già mossa nel 2012 con il Regolamento attuativo della legge che ha istituito le botteghe scuola (53/2008), dando la possibilità agli studenti, come nel Rinascimento, di imparare il mestiere al fianco di un maestro artigiano, apportando al contempo la propria formazione teorica e il proprio bagaglio di know-how legato alle nuove tecnologie per il design e la commercializzazione dei prodotti.

I passi da compiere dall’impresa artigiana per intraprendere il cammino della ripresa sembrano ancora tanti, ed investono soprattutto la dimensione organizzativa e gestionale dell’impresa: si tratta di micro o imprese individuali, che non hanno un chiaro sviluppo di competenze legate al marketing o a un approccio più competitivo verso i mercati esteri. La maggioranza delle eccellenze restano locali, e non crescono per via di una domanda interna ancora asfittica. Una prima soluzione a questi problemi strutturali dell’artigianato potrebbe venire proprio dallo sviluppo di servizi a supporto delle imprese, consentendo agli artigiani di uscire da logiche individualiste per sfruttare appieno le opportunità che prevengono dalle reti di impresa.

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Garanzia per i giovani. La grande sfida per il #lavoro per la nuova generazione

by Tommaso Rossi on 11 Dicembre 2013

Finalmente tra poco meno di un mese entra in azione il Piano Italiano per la Garanzia giovani, che prevede una serie di misure che favoriscano l’inserimento dei giovani nel mercato del lavoro.

Si tratta di misure approvate dall’Unione europea, il Youth Employment Initiative, che dunque devono essere recepite da ogni stato membro; le linee strategiche prevedono che ogni Paese si impegni a garantire ai giovani un’offerta «qualitativamente valida di lavoro, di proseguimento degli studi, apprendistato o tirocinio» entro 4 mesi dall’uscita dal sistema di istruzione o dall’inizio della disoccupazione. Per l’attuazione di queste misure l’UE fornirà all’Italia, per i prossimi 5 anni, più di un miliardo di euro (la disponibilità complessiva del provvedimento si attesta sul miliardo e 513 milioni di euro, compreso il cofinanziamento nazionale che quindi sarà pari a circa il 35% del totale).

Per fare in modo che queste misure siano realmente effettive, come si legge nel Piano di attuazione della Garanzia a livello nazionale, è opportuno individuare il target dei destinatari: si tratterà di misure che riguardano soltanto la fascia 15/24, giovani inoccupati o disoccupati, o di giovani non occupati che abbandonano precocemente un percorso di istruzione o formazione e non si registrano come disoccupati o inoccupati, ma cercano lavoro o sono disponibili a lavorare. Un target che si aggira intorno al milione di persone, non poche. Ricordo che per usufruire dei programmi per la Garanzia, i giovani dovranno iscriversi presso un servizio competente ai sensi D.Lgs. 181/2000 o presso il portale clic lavoro.

Una volta individuato il target di giovani, vediamo quali sono le misure previste. Per prima cosa una fase di informazione universale del programma (l’idea di un contest creativo per l’ideazione di uno spot e di una linea grafica su Zoppa, che mette a disposizione 16mila euro va nella giusta direzione: v. http://zooppa.com/it-it/contests/garanzia-giovani/brief); successivamente una fase di orientamento ai giovani, con il coinvolgimento di altri enti, istituzioni e soggetti attivi nella società civile, quali ad esempio l’Alleanza delle cooperative che già da qualche mese si è mossa insieme al governo per una completa attuazione della Garanzia. Un aiuto e una collaborazione che senza dubbio saranno indispensabili per far sì che queste misure non rimangano soltanto sulla carta.

Dopo una fase di accoglienza e analisi della domanda presentata, che prevede la stipula un c.d. “Patto di servizio” si procede alla definizione di un percorso personalizzato finalizzato all’inserimento lavorativo e/o al rientro nel circuito formativo/scolastico. Si tratta della fase-chiave del programma, in cui il giovane dovrebbe ricevere un’offerta di lavoro, di tirocinio, un contratto di apprendistato, la proposta di iscrizione al servizio civile; si garantisce anche un accompagnamento in un percorso di avvio all’impresa, per i soggetti con le competenze necessarie. Per quanto riguarda invece la formazione, sono previste azioni finalizzate all’inclusione lavorativa o al raggiungimento di una qualifica, borse di formazione e voucher per l’acquisto di servizi specialistici di sostegno eventualmente forniti dalla struttura formativa (in caso di strutture private).

Sarà tutt’altro che facile per lo stato e le regioni (che attueranno le politiche di cui ho detto sopra) garantire un’opportunità di lavoro o formazione per un milione di giovani, viste le estreme criticità presenti nel mondo del lavoro. Detto questo sembra che il programma per la Garanzia abbia i finanziamenti sufficienti e necessari per il target individuato (difficilmente verrà esteso alla fascia 25/29); sarà una partita complicata, uno strumento su cui l’UE ha investito molto, rivolto ai giovani, colpiti più di altre fasce dalla crisi del 2007/08. Sarà necessaria non soltanto un’azione condivisa da tutte le regioni e le province autonome, ma anche il coordinamento e la collaborazione con tutte le istituzioni, le categorie, le fasce attive nella società civile per fare in modo che tutti possano usufruire almeno di una prima opportunità occupazionale o di formazione. Nella speranza che in qualche caso non rimanga soltanto un’esperienza di tirocinio, ma cui faccia seguito un contratto di più lunga durata.

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Toscana Solidale e Legge 45/2013: un esperimento tutto toscano

by Tommaso Rossi on 9 Dicembre 2013

La Regione Toscana con la legge regionale n. 45 del 2 agosto 2013 prevede una serie di interventi di sostegno economico rivolti alle famiglie numerose e/o con disabili a carico che versano in condizioni economiche svantaggiate, ai nuovi nati e ai lavoratori che non hanno ricevuto lo stipendio per alcuni mesi e che più in generale si trovano in situazioni di grave disagio economico. L’esperienza avviata dalla Regione Toscana, prima Regione a intraprendere questo tipo di iniziativa, avrà una durata di tre anni, dal 2013 al 2015. Dati alla mano: in Toscana tra le 12.000 e le 17.500 famiglie hanno un figlio disabile a carico. Vi sono 4900 famiglie numerose, con almeno quattro figli, di cui 3116 hanno l’indicatore ISEE inferiore ai 24.000 euro. L’età media del parto è 31 anni e la caratteristica regionale è quella di avare il tasso di fecondità tra i più bassi in un paese, l’Italia, in cui il livello di fecondità è tra i più bassi d’Europa.

In Toscana si ha una media di 1,17 figli per donna. Erano necessarie politiche che rispondessero in qualche modo al quadro delineato. Con l’articolo 60 della legge finanziaria per il 2013 (L.R 77/2012) si stanziano 5.000.000 da assegnare alle persone che risultano in condizioni di vulnerabilità e alle famiglie che versano in condizioni economiche difficili. Tali fondi vengono elargiti tramite piccoli prestiti sociali di massimo 3000 euro affidati ad associazioni che operano nel Terzo Settore. I soggetti che verranno coinvolti nelle iniziative di microcredito dovranno essere inseriti in progetti in cui si delineano gli obiettivi da raggiungere per quanto riguarda l’inserimento sociale e il miglioramento delle relazioni nella comunità di riferimento.

La restituzione del prestito dovrà avvenire entro 36 mesi e prevede forme alternative di estinzione del debito tramite lo svolgimento di attività di utilità sociale. Vediamo ora brevemente nel dettaglio l’entità (quanto viene stanziato), l’estensione (chi ne può beneficiare) e la durata (per quanto tempo) delle misure regionali a favore della famiglia. Il contributo a favore dei nuovi nati consiste in un sussidio monetario, un assegno di 700 euro alle madri dei nati nel triennio 2013-2015. Il contributo invece destinato alle famiglie numerose (con 4 figli o più) consiste in un beneficio direttamente proporzionale al numero dei figli: 700 euro per ciascun anno del triennio 2013-2015 con un incremento di 175 euro per ogni figlio oltre il quarto.

Per le famiglie con figli disabili la legge prevede la concessione di un contributo per ogni anno del triennio (2013-2015) di 700 euro per ogni figlio disabile a carico in condizione di accertata sussistenza della condizione di handicap permanente grave (art 3 comma 3 della legge 5 febbraio 1992 n.104). I contributi economici vengono destinati a tutti coloro che abbiano un indicatore ISEE non superiore a 24.000 euro annui. L’intervento riguarda i cittadini italiani, i cittadini europei e gli stranieri titolari della carta di soggiorno o del permesso di soggiorno di durata non inferiore ad un anno.

Per quanto riguarda le modalità procedurali, i contributi vengono concessi dal comune di residenza del richiedente, che svolgerà la funzione di soggetto intermedio nel filtraggio delle istanze da inoltrare alla Regione, ente che provvederà all’erogazione del beneficio. L’istanza, da presentarsi ogni anno, deve essere corredata dell’ultima attestazione ISEE, aggiornata all’ultima dichiarazione. La ricezione delle domande deve avvenire entro il 31 gennaio dell’anno successivo a quello per il quale si fa richiesta del contributo. La Regione provvederà alla redazione della modulistica, che verrà pubblicata in evidenza sul sito della Regione.

La legge regionale 45 del 2 agosto 2013 è entrata in vigore ad Agosto, e migliaia sono state già le istanze inoltrate ai diversi comuni. In un periodo contrassegnato dalla significata contrazione di risorse destinate alle politiche sociali, è bene ricordare che la Toscana ha messo in campo uno sforzo in più per dedicare maggiori risorse economiche a sostegno delle famiglie in condizioni di disagio socio-economico, senza tuttavia toccare il sistema dei servizi. I numeri delle richieste dei potenziali beneficiari dei contributi dimostrano che l’intervento regionale si sia andato ad inserire all’interno di una forte domanda sociale. Per maggiori informazioni, si rimanda alla sezione del sito della Regione Toscana dedicata alla L.R. 45/2013 Toscana Solidale

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Tommaso RossiToscana Solidale e Legge 45/2013: un esperimento tutto toscano

Intervista a Claudia Fiaschi, Presidente di ACI Toscana

by Tommaso Rossi on 27 Novembre 2013

 Intervista al Presidente ACI Toscana sul metodo partecipativo: “Quello che è venuto fuori oggi ci dà degli strumenti di programmazione importanti per il futuro!”

Martedì 26 novembre si è svolto il primo incontro del comitato esecutivo dell’Alleanza delle cooperative italiane Toscana.

La giornata è stata interamente organizzata da ReteSviluppo insieme a Lama, attraverso un processo partecipativo caratterizzato dal dialogo, dall’interazione e dallo scambio di vedute su due temi scelti (quello della promozione alla cooperazione e quello dei mercati emergenti) che ha fatto emergere delle linee politiche comuni per il futuro della nuova rappresentanza della cooperazione in Toscana. Vediamo qual è stata l’opinione del presidente Claudia Fiaschi, che gentilmente ha risposto alle nostre domande.

Ha trovato utile o costruttivo un metodo di lavoro che prevede l’interazione e la partecipazione attiva di tutti i presenti, piuttosto che un’assemblea classica con interventi singoli?

Sì, questo gruppo ha bisogno di affinare le sensibilità e di armonizzare i linguaggi, di individuare degli obiettivi comuni; questo metodo mi sembra funzionale allo scopo e siamo contenti di averlo utilizzato in questa prima assemblea dell’esecutivo.

Dunque un modo per conoscersi meglio all’interno di ACI?

Sì, sicuramente sappiamo che le tre esperienze hanno delle matrici culturali diverse, linguaggi, esperienze che sono il retroterra da cui veniamo, il punto di partenza comune che si costruisce armonizzando i pensieri con il lavoro “gomito a gomito”.

Potrebbe diventare un metodo di lavoro continuativo da riproporre in altre occasioni?

È stata una prima sperimentazione. Io credo molto ai modelli partecipativi, ovviamente non sono da sola, quindi saranno importanti per il futuro le valutazioni di chi ha partecipato oggi, vediamo se riterranno che questo strumento ci aiuterà a disegnare il nostro futuro in maniera più rapida ed efficacie, soprattutto meno pesante. Se è così perché no?

Ha delle sue proposte sul metodo? Sulla durata ad esempio? Ci potrebbe dare alcune sue considerazioni personali.

Sicuramente avremmo avuto bisogno di più tempo, di qualche pausa in più; però sapevamo che oggi era una giornata con queste caratteristiche. Possiamo lavorare sull’affinamento delle domande; sono cose che però progrediscono nel tempo. Ma già quello che è venuto fuori oggi ci dà degli strumenti di programmazione importanti, almeno per quello che ho potuto vedere fino ad oggi.

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Tommaso RossiIntervista a Claudia Fiaschi, Presidente di ACI Toscana

Impresa sociale: se non ora, quando?

by Tommaso Rossi on 13 Novembre 2013

Estratto dall’intervista a Salvatore Natoli, a cura di Massimo Campedelli, uscita su Animazione Sociale (n. 275, agosto/settembre 2013) – “Tempo di imprese che producono beni per il territorio”

Imprese sociali, servizi e associazioni si chiedono come riposizionarsi dentro la crisi che mette in dubbio non solo il modello economico-finanziario finora conosciuto, ma anche lo stile di vita e di consumo che lo ha caratterizzato. Questa connessione tra economia e sviluppo è messa in evidenza da Salvatore Natoli, filosofo, descrivendo l’idea di crescita -forza propulsiva dell’economia- come intimamente connessa con il concetto di sviluppo; “senza crescita non c’è lavoro, senza lavoro non si produce consumo e senza consumo l’economia non produce ricchezza e benessere”.

Nel XX secolo la possibilità di aumentare il livello di ricchezza complessiva di un paese era agganciata all’aumento dei consumi perché allora era possibile ancora “allargare” i consumi.

“ In quegli anni, il Paese [Italia] ha avuto una grande possibilità di consumo perché esistevano enormi aree povertà e quindi era possibile creare, inventare il consumatore, i consumatori”.

Oltre all’aspetto economico, negli anni del dopoguerra in Italia si assisteva anche a una rinascita della società civile, dopo la repressione fascista. Si pensi alla Costituzione, che viene scritta in quegli anni in una “prospettiva etica di sviluppo”.

Secondo questa lettura i consumi hanno liberato il nostro Paese dalla schiavitù della necessità: la possibilità di consumare ha affrancato la popolazione italiana dal bisogno, dalla malattia e dalla mancanza di igiene. Anche negli anni successivi, quando si è sentita la necessità di saziare bisogni più complessi, con beni più sofisticati, si pensi alla lavatrice, si è sempre risposto a una necessità di liberazione, in questo caso delle donne dalla fatica dei lavori domestici.

Ma allora, questo meccanismo, quando si è inceppato? Quando abbiamo iniziato a porci delle domande sulla sostenibilità del sistema, proiettandoci in una serie interminabile di dilemmi come quello riguardante il caso ILVA. Si deve scegliere tra la salute e il lavoro?

Ma se da una parte ci rendiamo conto dell’insostenibilità di questo modello di sviluppo, dall’altra troviamo forti resistenze per modificarlo. La difficoltà principale risiede nella trasformazione del concetto di bisogno, che è passato dall’essere inteso come necessità di liberazione da qualcosa, a essere considerato come una condizione naturale.

“Se negli anni cinquanta impiantare uno scaldabagno era liberarsi da un bisogno (fare una doccia), oggi lo scaldabagno è una “condizione naturale”, come se ci fosse stato sempre”.

Questo meccanismo di naturalizzazione dei bisogni è incentivato dall’industria stessa, immettendo sempre nuovi prodotti che, drogando la società, rendono dipendenti al loro consumo. Cambia così il concetto di libertà, che “non è la capacità critica di scelta, ma avere o no accesso a consumi che spesso rispondono a bisogni non essenziali, ormai naturalizzati”.

Se tutti i mali non vengono per nuocere, la crisi del 2008 potrebbe essere un’occasione per mettere in discussione il modello economico e di vita che l’ha determinata. “Bisogna approfittare dell’arretramento dei consumi per pensare a stili di vita diversi, ridefinendo l’ordine delle necessità, uscendo dalla condizione di consumatori passivi…per diventare consumatori attivi”. Dobbiamo tornare al senso critico insito nel concetto di scelta che è racchiuso a sua volta nel concetto di libertà.

Per incentivare un consumo consapevole e critico non basta educare. È necessario incidere anche sui sistemi di produzione. Il territorio può essere il livello più adatto per mettere in atto questo tipo di mutamento, perché permette di capire più facilmente quanto un investimento possa essere vantaggioso.

“Abbiamo bisogno di imprese che lavorino su problemi locali”.

A questo punto arriviamo a esporre il concetto di impresa sociale. Va innanzitutto detto che, se da una parte ogni impresa è sociale perché comunità di lavoratori titolari di diritti, dall’altra non è detto che il prodotto dell’impresa sia sempre sociale. È questo il fattore discriminante. Come dice Natoli, “produrre sostegno sociale non vuol dire andare incontro a una scelta aleatoria di quel che si può o si vuole comprare o meno, ma soddisfare un bisogno sociale reale di “questo” territorio”. É questo che fa la differenza tra un sistema di sostegno all’handicap e un’impresa che fabbrica lenti a contatto. Un problema di handicap non può essere trasferito come un’occhiale, che può essere prodotto e venduto in tutto il mondo. “Il bene sociale è soddisfare i bisogni del territorio che esigono una soluzione qui e ora perché non “trasferibili”, delocalizzabili come altre produzioni”.

L’impresa che vuole qualificarsi come sociale ha anche l’importante compito di generare “beni di relazione”, deve cioè creare dei “sistemi di amicizia”, cioè “possibilità in cui le persone possano stare insieme, … [e possano] sviluppare azioni di vita collettiva, movimenti associativi in cui il rapporto con l’altro diventa un rapporto di reciproca generosità”. Per rendere tutto questo reale si avverte la necessità di costruire spazi pubblici.

Per attivare questa serie di processi si fa riferimento a una politica orizzontale, un modo di fare politica cioè che vede i cittadini impegnati nella loro funzione di “pressione per ripensare modelli di sviluppo e di impresa … che deve essere continua” e i rappresentanti come attori che recepiscono in modo attento questa pressione che li guiderà nelle proprie scelte.

Per concludere Natoli ci ricorda che

“la caratteristica delle democrazie è che non sono nelle condizioni di eleggere i migliori, ma possono “revocare i peggiori”. La competenza democratica non ha la capacità di identificare il meglio, la capacità delle democrazie è risanarsi.” .

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Tommaso RossiImpresa sociale: se non ora, quando?