“Zitto e ascolta!” – La Peer Education e il nuovo ruolo dell’insegnante.

by Stefano Ciapini on 11 Maggio 2022

Nel preferire l’attività di peer alla lezione frontale il compito del docente rimane fondamentale sotto più punti di vista. E non si tratta solo di un ruolo di controllo dell’ordine della classe e di punizione in caso di comportamenti scorretti, c’è molto di più.

Il docente non più centrale, ma comunque fondamentale.

Non lo si vuole negare: nella meccaniche di peer education l’insegnante non sale in cattedra, non è più il sole attorno a cui gravitano i ragazzi, ma questo non deve ormai sorprendere. Come si diceva, tuttavia, il docente rimane una guida per i ragazzi e le ragazze, pur secondo modalità e schemi diversi.
Va sottolineato che gli alunni che si accingono a svolgere un’attività di peer education avranno sempre come punto di riferimento l’adulto, tali attività non sono infatti un “liberi tutti!”, non equivalgono assolutamente ad una ricreazione.
È in questa fase iniziale che il docente dovrà guidare i componenti della classe a capire la differenza tra ciò che si sta per svolgere e una qualsiasi altra attività ricreativa: la peer education trasferisce responsabilità e capacità d’azione nelle mani degli alunni, e questa trasmissione dev’essere ben compresa: sarà compito dell’insegnante far passare questi concetti e avere un occhio vigile affinché questo spirito permanga durante tutta l’attività.

Insegnante e alunno sullo stesso livello.

È vero che l’aspetto cattedratico viene a perdersi quando si sceglie di intraprendere un percorso all’insegna della peer education. Il concetto base è infatti che una nozione, un’informazione o una skill trasmessa sono recepite in maniera più efficace se a “lanciarle” non è l’adulto, il docente, bensì il compagno di classe.
È proprio questo ambiente protetto che viene a crearsi che permette agli alunni di esprimersi con una libertà non indifferente, una libertà che è anticamera dello sviluppo di responsabilità e riflessione in merito alle conseguenze delle proprie azioni. Ragazzi più ricettivi si trasformano alunni con un bagaglio di conoscenze e esperienze messe a frutto con maggior soddisfazione e con un risultato finale potenzialmente più elevato.
Affinché la presenza dell’insegnante non risulti ingombrante in questo piccolo ambiente protetto che viene a crearsi in classe, questi dovrà compiere l’importante sforzo di mettersi al pari dei ragazzi durante le attività, pur non abbandonando quell'”occhio vigile” di cui sopra.
Lo sforzo non è indifferente, anzi: implica dismettere dei panni ipoteticamente indossati fino a quel momento, ma il risultato sarà davvero soddisfacente anche per l’insegnante stesso. Per arrivare a questo è necessario però un percorso di formazione specifico!

Il ruolo dell’insegnante nel creare le giuste condizioni per l’attività.

Il docente deve avere più livelli di sensibilità e, come già introdotto all’inizio dell’articolo, è su di esso che ricade la responsabilità del buon avvio delle attività.
In questo frangente la conoscenza degli alunni è fondamentale, perché la peer education, di primo acchito, può risultare un approccio non troppo confortevole per tutti. È da mettere in conto che molte persone coinvolte (in realtà lo stesso insegnante, pertanto figuriamoci i ragazzi!) abbiano da uscire dalla propria comfort zone, ed ecco che il ruolo dell’adulto torna nevralgico: niente deve risultare come qualcosa di imposto e calato dall’alto, la bontà di questo genere di pratiche risiede anche nella capacità dell’educatore di far “uscire fuori” spontaneamente i ragazzi. Per creare queste condizioni è necessario sapere su quali leve fare forza, sapendo chi a livello individuale è per propria indole più ricettivo e reattivo, e chi invece ha bisogno di una spinta più dolce.
La creazione di questo ambiente è di grande importanza anche e soprattutto per queste persone più timide e in difficoltà nell’esporsi di fronte agli altri, ed è in questa fase che si scrive il destino dell’attività di peer education. Avrà successo fra i ragazzi? Funzionerà? Dipende molto da questa preparazione: è anche l’insegnante ad avere in mano il buon esito dell’esperienza!

In conclusione: l’insegnante non può mancare!

La figura dell’adulto rimane molto importante nelle attività di peer education, sempre considerando che, come ci sono delle cose in capo al docente, ci sono altre abilità che possiedono solo i ragazzi e di cui i “grandi” non possono proprio disporre. Però attenzione: il ruolo dell’insegnante non deve essere invasivo… ma non deve nemmeno sparire!

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Gamification: imparare (video)giocando!

by Stefano Ciapini on 13 Aprile 2022

Punti, competizione, livelli, ricompense, premi: elementi che richiamano alla mente i giochi e i videogame, ma che possono trovare applicazione in svariati ambiti della vita, non ultimo l’ambito formativo e della scuola.
Parliamo della gamification, ovvero dell’uso di elementi di game design in contesti di per sé estranei al gioco.
Lo scopo della gamification è quello di indurre il soggetto coinvolto a comportamenti attivi, stimolandone la partecipazione e anche il divertimento al fine di attuare azioni virtuose.
Il veicolo è un sistema di riferimento cognitivo familiare e sin da subito ben masticabile, soprattutto – nel caso dei videogame – se ci riferiamo a una fascia d’età giovanile. 

Attraverso lo stimolo della partecipazione per mezzo di meccanismi premiali e/interattivi, la gamification permette di ripensare tutta una serie di attività che, altrimenti, sarebbero considerate meno coinvolgenti o addirittura noiose.

È in questo senso che il game design si presta all’apprendimento, che in certi aspetti diviene più coinvolgente e stimolante: cresce il senso di appagamento e si potenziano il ragionamento e le capacità di problem solving.

Prevedere e valutare le conseguenze delle proprie azioni è un punto fondamentale nelle attività di gamification portate avanti nelle scuole da parte di ReteSviluppo..
La simulazione di gioco permette, infatti, di prevedere azioni e risposte nell’ambito di una dinamica sociale nella quale gli studenti sono solitamente calati.
Tanto per fare un singolo esempio, ReteSviluppo porta negli istituti secondari di primo grado un’attività ispirata ad Among Us, un gioco online particolarmente in voga tra i preadolescenti.
La meccanica di gioco prevede l’individuazione di un impostore che si nasconde tra i personaggi, in una sorta di lupus in tabula digitale.
Questo stesso meccanismo viene portato tra i banchi di scuola, dove la missione è individuare l’impostore in mezzo a una serie personaggi che attuano comportamenti più o meno scorretti o controproducenti, stimolando una riflessione in merito alle conseguenze che hanno le azioni che scegliamo di mettere in atto nella vita quotidiana.
Così facendo il videogioco è a servizio dell’apprendimento, poiché stimola attraverso l’interattività e un linguaggio ben noto una serie di riflessioni utili alla formazione personale. 

Un fenomeno in costante crescita nel mondo, con radici profonde.


Quando parliamo di gamification possiamo fare riferimento a un mercato specifico, che si individua in quello dei cosiddetti “giochi seri”, ovvero giochi volti interamente all’apprendimento, alla riflessione sociale e così via. Negli ultimi anni il mercato di questi giochi è cresciuto vertiginosamente. Nei soli Stati Uniti il valore di mercato dei giochi seri sarà triplicato nel 2023 rispetto al 2017, raggiungendo quasi 10 miliardi di dollari.
Il concetto di gamification e di gioco serio però non sono una novità odierna.
Riflessioni in merito a questo risalgono ad epoche ben precedenti la nostra. 

“Il gioco è una cosa seria, tremendamente seria”
– Jean Paul (1763 – 1825)

L’idea di dare connotazione seria al gioco, o comunque di usare meccaniche di gioco “prestandole” ad altri ambiti, risale addirittura a Platone, che considerava il gioco un elemento utile per portare i più piccoli a replicare determinati comportamenti una volta divenuti adulti.

Rousseau, in tempi più recenti, sosteneva che per un bambino il lavoro e il gioco fossero concetti non distinguibili.
Freud individuava nel comportamento attuato durante il gioco un elemento da analizzare per comprendere al meglio l’interiorità di una persona.
Queste riflessioni hanno portato ad alcuni grandi esperimenti di gioco serio, come accaduto nel 1903 con il “Landlord’s game”, un antenato del Monopoli che aveva come scopo il far riflettere sui tanti risvolti negativi del capitalismo.
Oggi il gioco serio si concretizza anche in ambito digitale mutuando, come abbiamo visto, meccaniche, narrazioni e ambientazioni dai videogame. 

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Stefano CiapiniGamification: imparare (video)giocando!

ReteSviluppo nelle scuole all’insegna della Digital Transformation

by Stefano Ciapini on 7 Aprile 2022

Il mondo e la società oggi cambiano i propri sistemi di riferimento ad una velocità molto elevata.
I rapporti tra esseri umani si conformano secondo modalità in continua evoluzione e così i giovani e i giovanissimi configurano dinamiche interpersonali talvolta anche del tutto estranee a ciò a cui le generazioni precedenti erano abituate.
Questo ha importanti risvolti nell’ambito educativo e formativo, dove si palesa la necessità di instaurare una connessione con ragazzi e ragazze secondo dinamiche nuove o comunque di recente ideazione.

Il mondo post pandemia: un’accelerata alla trasformazione digitale.

Non è un caso che queste considerazioni vengano fatte a seguito della pandemia globale che ci ha tenuti di fronte a uno schermo per più di due anni: il sistema educativo si è trovato di punto in bianco in balia di strumenti di comunicazione rispetto a cui, spesso, mancava anche l’alfabetizzazione.
È in quel periodo che come ReteSviluppo ci siamo mossi per offrire un supporto a docenti, genitori e studenti, ed è da lì che poi si è approfondita la necessità da parte degli istituti scolastici di scoprire metodi innovativi di formazione ed educazione, per esempio nell’ambito dei social, o attraverso tecniche di gamification, o ancora per mezzo di attività di peer education.

Imparare e riflettere attraverso l’interattività e il linguaggio innovativo.

C’è un fattore comune tra tutte le attività messe in campo sia presso la scuola media che le superiori, ovvero l’interattività: il coinvolgimento in prima persona di studenti e studentesse permette di imbastire un percorso che pone i ragazzi al centro, sentendosi così parte attiva di un processo di formazione coinvolgente e stimolante.
Lo si fa, come dicevamo, sfruttando linguaggi propri di preadolescenti e adolescenti.
Si prenda il caso della gamification, ovvero l’uso di tecniche mutuate dai giochi e dai videogame, e che approfondiremo in un prossimo articolo: in questo caso è evidente l’approccio che punta a parlare la lingua dello studente.
Oppure si pensi, riferendoci in particolare ai percorsi attuati nelle secondarie di secondo grado, alla peer education: anche in questo caso lo studente diviene parte attiva del percorso, stavolta con un metodo responsabilizzante e volto alla cooperazione.

Un percorso in continua evoluzione.

Concludendo, l’attività di ReteSviluppo nelle scuole, di cui oggi abbiamo dato un’infarinatura con la chiave di lettura della Digital Transformation, continua e si evolve all’insegna della partecipazione e dell’innovazione. Presto approfondiremo nel dettaglio le tante attività messe in campo!

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Stefano CiapiniReteSviluppo nelle scuole all’insegna della Digital Transformation

“Ti presento Prato”: illustrati i risultati dello studio.

by Stefano Ciapini on 30 Marzo 2022

Ieri, martedì 29 marzo, presso il Salone Consiliare del Comune di Prato, sono stati illustrati i risultati dello studio Ti presento Prato alla presenza, tra gli altri, del Sindaco della città Matteo Biffoni.

Salone Consiliare di Prato, 29 marzo 2022

Il progetto: paure e sogni dei Pratesi post-pandemia.

”Ti presento Prato” è una ricerca condotta da ReteSviluppo e Forum delle Associazioni Familiari di Prato, il cui obiettivo è stato quello di rendere uno spaccato dei desideri, delle paure e delle speranze di genitori, preadolescenti e adolescenti pratesi.
La ricerca si è svolta principalmente nell’ambiente scolastico coinvolgendo, oltre ai soggetti già citati, anche il personale ATA e il corpo docenti.

Si è cercato di raccontare la Prato del presente, in una fase di riassetto della città post-pandemia, non solo per leggere le dinamiche attuali ma anche per capire le aspirazioni della Prato del futuro.
La ricerca punta in questa direzione, volendo mettere in luce perlopiù le tendenze e lo stato d’animo di giovani e giovanissimi rispetto alla propria comunità.
La raccolta dei dati si è tenuta durante gli ultimi mesi del 2021, e la loro elaborazione e sistematizzazione ha visto impegnate le realtà coinvolte fino ai primi mesi di quest’anno.

Un primo sguardo ai risultati dello studio.

Nello specifico, sono stati ben 785 i questionari raccolti nelle scuole, sottoposti a studenti di età compresa tra i 13 e i 16 anni, provenienti sia dalla scuola media che dalle superiori.
A questi, poi, vanno aggiunti i sondaggi sottoposti agli adulti.

Dallo studio, senza entrare in specifiche troppo dettagliate, emerge che i giovani nel periodo post-pandemico non abbiano smarrito il senso di fiducia e curiosità nei confronti del futuro.
Tuttavia, al tempo stesso, secondo le rilevazioni in buona parte i giovani intervistati non hanno un’idea chiara di come concretizzare il proprio avvenire, di quale strada scegliere.
Queste incerte aspirazioni in merito al futuro si accompagnano e si traducono nel desiderio espresso di costruire un domani all’insegna della stabilità lavorativa e del guadagno, come si evince dai dati raccolti.
Fiducia e curiosità riposte nel futuro dunque, con l’obiettivo del raggiungimento di una stabilità e sicurezza di vita, ma con una strada incerta da percorrere.

Ottimismo, fiducia, incertezza.

Nel complesso, permane un maggior senso di ottimismo, curiosità e fiducia nel futuro da parte dei soggetti giovani rispetto a quanto riposto da docenti, genitori e personale scolastico, posti di fronte alle stesse domande.
Si tratta di una tendenza molto significativa.
La pandemia, dunque, ha sì messo alla prova ragazze e ragazzi, ma non è riuscita a spegnere del tutto la fiducia riposta dalle giovani generazioni nei confronti della Prato del domani.

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Stefano Ciapini“Ti presento Prato”: illustrati i risultati dello studio.

Didattica a distanza: un esperimento

by Comunicazione Kinoa Innovation Studio on 11 Marzo 2020

Si fa un gran parlare, di questi tempi, di smart working e didattica a distanza. Mentre il primo lo conosco già bene, visto che siamo abituati a lavorare anche in posti (e orari) diversi, la didattica a distanza non l’avevo mai sperimentata in maniera diretta. Non ero particolarmente preoccupata: sono abituata a fare riunioni in videoconferenza, seguire dirette streaming, ho fatto anche diversi colloqui di lavoro via Skype. Devo ammettere, però, che questa esperienza si è rivelata una grande sorpresa.

Ho utilizzato la piattaforma Google Meet, che è quella che usiamo sempre e che, tra l’altro, Google ha deciso di offrire gratuitamente a tutti i clienti Gsuite fino a luglio 2020 per stimolare la didattica a distanza in questo momento di emergenza.

Innanzitutto, già da mezz’ora prima dell’ora fissata per il collegamento, i ragazzi hanno iniziato a chiedermi il link per connettersi. Non attribuisco questo allo strumento usato, quanto piuttosto alla noia che i ragazzini italiani si trovano a sperimentare in questi giorni. La domanda che mi facevano prima del collegamento era “ma come faremo a vederci tutti insieme?”. Ho quindi scoperto, e ammetto che non lo sapevo, che WhatsApp consente videochiamate con, al massimo, quattro partecipanti. Non vi preoccupate, ho detto io. Infatti Google Meet consente di gestire fino a 250 partecipanti.

Io ne avevo “solo” dodici, e ho scoperto la prima cosa: gli adulti in videoconferenza sono spesso impacciati e non sanno bene quando parlare, i ragazzini sono naturalissimi e si comportano esattamente come dal vivo, dicendo tutto quello che gli viene in mente, contemporaneamente. Ho dovuto quindi farli parlare, uno alla volta. Ognuno ha raccontato come vive questi giorni. Ci sono dei compiti da fare, ma non tanti. Per lo più stanno dai nonni. Ci sono dei videogiochi a cui giocare, soprattutto Browl Stars. Ora gli amici non possono più venire a casa nostra, dice qualcuno molto dispiaciuto.

Nel frattempo, qualcuno aveva problemi tecnici. Non riusciva a attivare il microfono, la fotocamera etc. Io ho iniziato a spiegare quando ho visto che c’era un ragazzino che lo sapeva spiegare molto meglio di me. Ho nominato lui responsabile tecnico. Ogni volta che qualcuno aveva una difficoltà, subentrava lui per spiegare come risolverla. La seconda cosa che ho imparato è quindi che la peer education e la tecnologia vanno davvero bene a braccetto insieme.

Ho dovuto poi chiedere a tutti di silenziare i propri microfoni, perché altrimenti si crea una eco che rende impossibile seguire la conversazione. Inizialmente ho pensato “che cosa fantastica, magari anche dal vivo potessi silenziarli e attivarli a comando” ma ben presto mi sono accorta che la mia modalità di fare lezione, tutta basata sulla costante interazione, non si concilia bene con un microfono silenziato. Tendo a impostare le frasi in modo che siano i ragazzi a completarle, tendo a fare continuamente domande per tenerli attenti, vigili, per sapere che stanno seguendo e capendo.

Non funzionava. Stavo pensando di passare a una modalità più frontale quando, ancora una volta, mi sono venuti in soccorso loro: da soli, hanno iniziato a rispondere alle mie domande in chat. Non solo, hanno iniziato a commentare quello che dicevo e a fare domande. La lezione allora ha preso il via, facilissima e interattiva. In ogni momento sapevo che mi stavano seguendo e cosa pensavano.

Ho utilizzato alcuni oggetti, che avevo preparato prima, e che mostravo in webcam per facilitare il discorso. Questo ha riscosso molto successo. Quando ho chiuso la videoconferenza ero davvero stanca, più stanca che quando faccio lezione dal vivo, ma soddisfatta.
Alla fine mi hanno chiesto “quando lo rifacciamo?”. Lo rifaremo, e adesso so meglio come impostare tutto. Ho quindi deciso di scrivere questo breve contributo per tutti coloro che in questi giorni vorrebbero sperimentare questa modalità.

Riepilogando, alcuni consigli appresi “sul campo” per fare lezione a distanza con gli adolescenti:

  1. Impostate uno schema di lezione più preciso e puntuale di quando fate lezione dal vivo. Meno concetti, frasi più brevi.
  2. Utilizzate oggetti o vignette di supporto visivo per quello che volete dire. Vi seguiranno meglio.
  3. Iniziate coinvolgendo ognuno di loro. Lasciate che parlino, che inquadrino la loro camera, che raccontino qualcosa. Poi chiedete di silenziare tutti i microfoni.
  4. Invitateli a utilizzare la chat per commentare quello che dite. Senza rumore di sottofondo, saprete in tempo reale se vi stanno seguendo e cosa pensano.
  5. Fatevi aiutare da loro per qualsiasi difficoltà tecnica. Rendeteli co-responsabili della lezione e dello strumento.
  6. Alla fine, fate aprire tutti i microfoni e fate parlare tutti contemporaneamente. Godetevi per qualche istante il caos e la confusione. Non ne avevate un po’ nostalgia?
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Comunicazione Kinoa Innovation StudioDidattica a distanza: un esperimento

Arriva Zirma, la città digitale ideata da ReteSviluppo per riflettere sull’uso responsabile dei social network tra i pre-adolescenti

by Stefano Ciapini on 4 Febbraio 2020

Dopo il successo della Social Challenge e TikTok Party ReteSviluppo lancia Zirma, un nuovo progetto centrato sui giovani e i social network. Questa volta i protagonisti saranno i ragazzi delle scuole medie inferiori, che si muoveranno negli spazi virtuali di una piattaforma social creata appositamente per il progetto, Zirma appunto, vestendo i panni di diversi personaggi stereotipati e interagendo tra loro in modo sia libero che strutturato.

Cos’è Zirma?

Zirma è una città digitale, un luogo dove abitano virtualmente tante persone che interagiscono tra loro. Zirma è uno specchio della realtà ma anche un mondo a parte. Su Zirma puoi essere te stesso, ma puoi essere anche quello che vuoi, o anche quello che non vuoi, o anche tutte queste cose insieme.

Zeta di Zirma

Perché si chiama Zirma?

Zirma è una delle “città invisibili” di Italo Calvino. Non hai letto il libro? Prova a leggerlo, te lo consigliamo! Nella Zirma di Calvino le cose esistono perché si ripetono. In questa Zirma scegli tu cosa ripetere e cosa no, cosa dire e cosa non dire. Unica regola: ti devi divertire.

Il format di Zirma

La città di Zirma, sviluppata appositamente da Kinoa per conto di ReteSviluppo è quindi una piattaforma pensata per simulare un social network. Lo spazio virtuale della città sarà il luogo prediletto per le attività del nuovo laboratorio di ReteSviluppo per le scuole medie inferiori centrato sulla promozione di un uso responsabile dei social network tra i pre-adolescenti.

Come per tutti i metodi di ReteSviluppo, anche su Zirma si lavora in squadra. Attraverso una simulazione/gioco di ruolo i ragazzi impersoneranno alcuni abitanti della città digitale e interagiranno tra loro in maniera virtuale. Insieme cercheremo quindi di analizzare i nostri comportamenti digitali e riflettere su come, dal telefonino, non ci accorgiamo di fare del male agli altri. Attraverso il gioco/simulazione parleremo di hate speech, bullismo, stereotipi e molto altro.

I primi a sperimentare il viaggio dentro Zirma saranno i ragazzi di 3 classi prime della Scuola Media Pirandello di Firenze, dove ReteSviluppo, in collaborazione con la Diaconia Valdese Fiorentina, realizzerà i primi 3 laboratori. Ogni laboratorio dura complessivamente 6 ore distribuite su 3 incontri. E’ previsto anche un momento finale con i genitori dei ragazzi ai quali sarà illustrato tutto ciò che i figli hanno postato su Zirma.

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Disabilità e resilienza come cura di sé: un’intervista con Barbara Morganti, aspirante pedagogista e tirocinante di ReteSviluppo

by Stefano Ciapini on 20 Gennaio 2020
  • Chi è Barbara? Descriviti in tre parole

Direi che sono una persona dolce, anche se con i miei lati forti, un po’ permalosetta e lavoratrice. E direi anche abbastanza resiliente, nonostante tutto.

  • Qual è il tuo ruolo all’interno di ReteSviluppo?

Sono qui per il tirocinio dell’Università. Sto per laurearmi alla magistrale in Scienze della formazione con una tesi su disabilità e resilienza come cura di sé stessi, come strumento positivo per autocurarsi e trovare una via di successo nel lavoro e nella vita. Studio per diventare pedagogista, spinta dal desiderio di aiutare gli altri trovando strade e metodi che mettano al centro la persona più che il suo problema. Qui a ReteSviluppo lavoro per promuovere sui social il lato positivo della disabilità e partecipo alla stesura di progetti e interventi nelle scuole. Ci siamo conosciuti alla mappatura dell’accessibilità di Prato di Kinoa e ci siamo trovati sin da subito.

  • Cos’è la resilienza nella vita quotidiana di una persona con disabilità?

È sia la resistenza agli sforzi di tipo fisico, sia la forza mentale necessaria a superare tutti i pregiudizi che affrontano nella vita di ogni giorno le persone con disabilità. La resilienza è anche la capacità di far fronte al fatto che quando parli con una persona, soprattutto se sconosciuta, sai che comunque lui o lei ti guarderà prima come disabile che come persona.

È lo sforzo continuo di trovare delle luci nonostante tutte le ombre.

  • Dalla tua esperienza personale, professionale o del tuo percorso di studi qual è la percezione della disabilità fra i bambini? Quali interventi sarebbero secondo te necessari?

Molto è cambiato rispetto a quando ho frequentato io le scuole, quando non c’erano percorsi ad hoc per le persone con disabilità e praticamente tutto era lasciato all’improvvisazione. Penso che ancora si potrebbe lavorare sull’accettazione da parte dei pari: quando cresci e il ruolo di risorsa affettiva e di intermediazione col mondo esterno della famiglia non ti basta più, trovare degli amici, delle persone con cui confrontarsi alla pari non è semplice. In questo senso si potrebbe lavorare in molti modi diversi. Sto lavorando per esempio a una serie di interventi in forma di gioco da proporre nelle scuole attraverso cui i ragazzi possono sperimentare alcune delle difficoltà sensoriali o fisiche che le persone con disabilità si trovano ad affrontare tutti i giorni. Esercizi semplici che aiutano però in modo concreto a capire le difficoltà e a guardare oltre, alla persona.

  • Progetti per il tuo futuro prossimo?

Spero che nel mio piccolo quello che faccio sia d’esempio per qualcuno, per i ragazzi con e senza disabilità, e mi aiuti a farmi conoscere. L’importante per me adesso però è laurearmi con un buon voto e trovare un lavoro che mi permetta di essere il più indipendente possibile.

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Il nuovo volto di ReteSviluppo. L’intervista al Presidente Ester Macrì

by Stefano Ciapini on 30 Dicembre 2019
  • Chi è Ester Macrì? Descriviti in tre parole.

Solo 2: mondana e mistica. Perché sono sempre curiosa e innamorata del mondo, delle cose che succedono, mi piace stare con la gente, conoscere nuove persone e storie. Ma ho anche bisogno di riflettere, fare silenzio, interpretare, pensare e ripensare alle cose, custodirle.

  • Qual è stato il tuo percorso all’interno di ReteSviluppo?

Ho iniziato facendo quello che so fare sulla carta: ricerca sociale. Grazie alla fiducia delle persone che ho trovato ho potuto iniziare a fare anche quello che più amo: inventare, sperimentare, insegnare ai ragazzi facendoli divertire. Il mio percorso si è costituito su di me e questa è la cosa più bella.

  • Cos’è ReteSviluppo? Quali sono le novità del nuovo corso?

ReteSviluppo è passato, presente e futuro insieme. Continua a indagare la realtà e a stimolare processi partecipativi. La novità più grande è sicuramente l’attenzione ai giovani e giovanissimi e il lavoro nelle scuole. E poi un po’ di tocco femminile, ma non troppo.

  • Perché fare attività di ricerca ed educazione con i social network/strumenti innovativi in generale?

Perché è il mondo che ce lo chiede. Questi strumenti sono il pane quotidiano dei ragazzi che incontriamo, sono il luogo dove vivono, dove si incontrano. Possiamo scegliere di lasciare questi luoghi disabitati, entrarci a gamba tesa rischiando di cacciare gli autoctoni o entrarci così, come proviamo a fare noi, in punta di piedi, dicendo ai ragazzi “i protagonisti siete voi”. Siamo noi che andiamo incontro agli altri in questi nuovi terreni e non ci aspettiamo che siano gli altri a venire da noi. Bisogna essere un po’ esploratori, ma quale ricercatore non lo è?

  • Quali sono i progetti in corso?

Sta per partire un nuovo progetto a cui teniamo molto che coinvolgerà i ragazzi delle scuole medie inferiori, i loro professori e i loro genitori, sempre sul tema dei social network. Ma non sveliamo di più.

  • Propositi per ReteSviluppo nell’anno che verrà.

Non smettere mai di cercare.

  • ReteSviluppo tra dieci anni…continua tu!

Aderente alla realtà del momento, qualunque essa sia, ma mai alla moda e mai stereotipata. Un po’ controcorrente, sempre. E con tanta voglia di scoprire cosa succede al capitolo successivo.

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Le regole di TikTok spiegate dai commenti ai video di Salvini.

by Stefano Ciapini on 26 Novembre 2019

Niente politica

La prima reazione che vediamo tra i commenti è quella “ufficiale”: no alla politica su TikTok. E’ proprio la policy della piattaforma cinese che stabilisce che TikTok sia uno spazio di divertimento e condivisione di contenuti ludici e di intrattenimento e, assolutamente, non politici. Bytedance, la società cinese proprietaria di TikTok ha infatti recentemente annunciato che non accetterà sponsorizzazioni e contenuti a pagamento a sfondo politico. Da una parte questa presa di posizione sembra voler creare uno spazio “incontaminato” da certe baruffe che caratterizzano altri social network, dall’altra ha a che fare, in una certa misura, con una questione di controllo dei contenuti e censura. In ogni caso, la regola è semplice e chiara: niente politica su TikTok.

Una community ben definita

Andando avanti nei commenti troviamo una precisa sottolineatura da parte degli utenti: su TikTok ci sono alcuni tipi di persone. Se vuoi starci, devi accettare chi già ci abita.

Quest’ultimo commento, che sottolinea come TikTok sia presidio di sostenitori LGBT e non razzisti ha ricevuto ben 1032 like dagli altri utenti, segno di una community attiva e chiaramente connotata, che si sente unita e vede nella piattaforma un luogo di scambio e condivisione di un modo di vedere il mondo. Non solo divertimento scanzonato, vanno bene alcuni messaggi, ma non c’è posto per l’odio, dicono i tiktoker.

Non è un paese per Boomer

TikTok, come è noto, è popolato sopratutto da giovanissimi. Ma c’è di più: c’è una netta contrapposizione tra i ragazzi e gli adulti, visti come non adatti per stare sulla piattaforma: tornino su Facebook, quello è il loro posto.

Su TikTok c’è anche un trend che sintetizza questa sorta di “scontro generazionale”: Ok, Boomer. La generazione Z risponde in maniera secca alla generazione dei baby boomers che accusa i giovani di essere buoni a nulla, di stare sempre al telefono o di non aver voglia di lavorare. Ok Boomer è quindi una risposta canzonatoria per chiudere una discussione con chi, in fin dei conti, non può proprio capire. Matteo Salvini, quindi, rientra nei “boomer”, vecchi che sanno solo giudicare.

TikTok è un social per giovanissimi, la cui vita, anche digitale, è in parte controllata dai genitori. Lo spiega bene questo commento ironico di un ragazzo che teme di non poter più usare il telefono se sua madre lo troverà a mettere un like a Salvini.

Tutti dicono che è difficile fare i TikTok

Per fare un TikTok, un piccolo video di 15 secondi, serve un po’ più di impegno rispetto a quello impiegato su altri social network. Serve creatività, conoscere gli altri trend del momento e saperli re-interpretare, serve saper gestire gli effetti a disposizione nel migliore dei modi. Un ragazzino può impiegare anche diversi giorni per produrre un buon TikTok. I video di Matteo Salvini non rispettano nessuno di questi canoni. Produce contenuti propri, senza rifarsi ad alcun trend esistente. Nei video non fa niente di divertente, originale, non canta, non balla. In un video mangia delle olive all’ascolana, in un altro piega le ginocchia con una musica di sottofondo. Sono video che non rispettano la grammatica di TikTok, risultano fuori contesto.

Il risultato è essere “cringe”, ridicolo, inappropriato per l’utente medio che lo guarda.

Incancellabile

Una caratteristica importante e distintiva di TikTok è che i commenti ricevuti non possono essere cancellati. Se su Facebook e Instagram uno staff attento o un servizio automatizzato possono immediatamente censurare il dissenso, su TikTok quel che è scritto è scritto. E sotto i video di Matteo Salvini restano, quindi, anche (o soprattutto) i commenti negativi che non siamo abituati a leggere nelle sue pagine su altre piattaforme.

Cambiare le regole?

Chiara Ferragni, anche lei approdata su TikTok da pochissimo , ha adottato da subito tutto un altro stile rispetto a Matteo Salvini, dimostrando da subito di aver capito le regole della piattaforma. Nel suo primo video ha preso un trend tra i più virali del momento, lo ha interpretato magistralmente e ha aggiunto un finale personale. Se si vuole stare su una piattaforma, bisogna prima conoscerla ed adattarsi alle sue regole. Chiara Ferragni ha studiato e ha creato un prodotto perfetto, in linea con il linguaggio, la forma e il contenuto di TikTok, aggiungendo infine qualcosa di suo, come fanno gli influencer.

Salvini propone il modello opposto: cerca di portare le sue regole su TikTok. Ci riuscirà? Non lo sappiamo. Sotto gli ultimi video iniziano a spuntare anche commenti favorevoli, lasciati per lo più da utenti “adulti” con pochi follower e nessun video caricato, forse arrivati su TikTok da pochissimo.

Per il momento, TikTok è un luogo digitale con le sue regole e i suoi abitanti, una community forte e definita che protesta così di fronte all’invasione del proprio spazio da parte di utenti che propongono modelli culturali diversi: tornate al vostro paese.

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Come essere popolari su Instagram? Gli adolescenti ci insegnano l’insta-grammatica.

by Stefano Ciapini on 15 Ottobre 2019

Lo scorso 13 Ottobre siamo stati all’Internet Festival di Pisa e ci siamo divertiti a riflettere con circa 80 ragazzi di due istituti superiori pisani sulle “regole non scritte” di Instagram.

Ogni ragazzo sa bene, infatti, cosa si può pubblicare e cosa non si può pubblicare se vogliamo essere popolari sul Social Network del momento.

Le regole del profilo perfetto

Per prima cosa abbiamo lanciato uno dei nostri sondaggi interattivi e, in tempo reale, gli studenti hanno potuto dire ciò di cui si può parlare e ciò di cui non si può parlare su Instagram se non vogliamo apparire degli “sfigati”.

Gli argomenti ritenuti popolari ed instagrammabili dai ragazzi sono stati (in ordine):

1. Meme

2. Corpo femminile

3. Moda e bellezza

4. Calcio

5. Cibo

Commentando questi risultati i ragazzi hanno aggiunto che Instagram è il luogo della bellezza e dell’apparire, però anche del divertimento. Infatti la maggior parte dei ragazzi cerca su Instagram dei meme che facciano ridere e parlino di attualità in maniera ironica. Un meme è una vignetta o un immagine che diventa famosa in Internet e che gli utenti stessi modificano di volta in volta con un testo a piacere, adattandola all’attualità.

Ma attenzione: i meme devono essere aggiornati e non “vecchi”, altrimenti non sono più divertenti ma ridicoli.

Gli argomenti ritenuti impopolari e inopportuni sono invece stati (in ordine):

1- Religione

2- Scuola

3- Politica

4- Videogiochi

5- La vita “reale”

Per i ragazzi gli argomenti tabù su Instagram sono tutti quelli ritenuti “seri”: la religione, ma anche ciò che si studia a scuola. In generale, la vita reale appare noiosa e non interessante da raccontare su Instagram. I videogiochi, anche se sono un passatempo, sono ritenuti da “nerd” e quindi poco attraenti.

La sfida: creare l’anti-influencer

Abbiamo quindi chiesto ai ragazzi, divisi in squadre da 4 componenti secondo il format Social Challenge, di creare dei profili Instagram di personaggi poco popolari e di immaginare una loro giornata tipo attraverso post e storie. I risultati sono stati davvero divertenti e ci permettono di capire meglio le regole non scritte che gli adolescenti conoscono benissimo.

I personaggi creati

I ragazzi hanno quindi immaginato dei personaggi che non potrebbero spopolare su Instagram, degli anti-influencer. C’è, ad esempio, il kebabbaro che racconta per filo e per segno la propria giornata, il fan del Papa, il fan della serie animata Adventure Time, il professore di filosofia ambientalista, il fan del manga giapponese Naruto e il fan del videogioco Fortnite (e della religione).

Pirani Tamburino, il kebabbaro social
Il Papa è stato scelto come immagine per un profilo a sfondo religioso che ci tiene a precisare di “non commettere peccati”
Il cavallo di Adventure Time è diventato il personaggio di un profilo Instagram infantile
Dimitro Svazzino è un professore di filosofia ambientalista e non molto popolare
Questo profilo cerca di coniugare videogiochi e religione..il top dell’impopolarità!

Elogio dell’imperfezione e degli outsider

I ragazzi hanno ironizzato sull’ansia di apparire perfetti che domina Instagram, ancora più che altri Social Network. Hanno mostrato pranzi brutti e impiattati male, delusioni amorose, espressioni infantili e frasi decisamente poco accattivanti, tipiche di un target di utenti più “adulto” che, generalmente, non abita Instagram o che comunque i ragazzi non seguono.

Un pasto frugale e poco instagrammabile
Delusioni amorose
Una frase non molto instagrammabile
Intramontabili gattini
PeppaPig e Nuela, due trend del momento per bambini

Te lo dico con un meme

Altri ragazzi hanno invece giocato sui meme. Il linguaggio di Instagram, infatti, viaggia molto attraverso questo tipo di vignette umoristiche e modificabili dagli utenti. I ragazzi hanno dimostrato grande creatività e ironia nell’adattare immagini esistenti alla sfida lanciata durante l’Internet Festival, con risultati molto divertenti.

Un meme creato per la sfida
Meme a sfondo artistico
Anche Dimitro Svazzino si cimenta nei meme

Tre insegnamenti che ci portiamo a casa

Grazie a questa sfida abbiamo capito alcune cose sul rapporto tra Instagram e adolescenti:

1- Consapevolezza della distinzione tra reale e virtuale: i ragazzi sanno benissimo che ciò che viene postato su Instagram non è la realtà ma una selezione di ciò che è bello, che può apparire appetibile e invidiabile. Lo sanno perché essi stessi stanno attentissimi alla propria immagine social e a ciò che postano. L’immagine è fondamentale su Instagram, ma non manca la consapevolezza che la vita vera è un’altra cosa.

2- Mondi separati: i ragazzi non vogliono stare in luoghi abitati da adulti. Instagram è come il luogo di ritrovo, il muretto o il bar del quartiere. Se arriva un adulto e si intrufola nella conversazione dei ragazzi, i ragazzi scappano. Al tempo stesso, Instagram non è un luogo da bambini e pre-adolescenti: per loro c’è TikTok.

3- Se vuoi parlare agli adolescenti, fai un meme: il meme è il linguaggio preferito dai ragazzi, perché fa ridere, ma con intelligenza. Forse alla fine Instagram non è un luogo così superficiale come qualcuno vuol far credere. Per riuscire a starci dentro occorre tanto, tanto lavoro.

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Stefano CiapiniCome essere popolari su Instagram? Gli adolescenti ci insegnano l’insta-grammatica.