La CSR (Corporate Social Responsibility), tradotta in italiano RSI Responsabilità Sociale d’Impresa, ha fatto il suo ingresso formale nell’agenda dell’Unione Europea in corrispondenza del Consiglio Europeo di Lisbona del marzo 2000, quando è stata considerata uno degli strumenti strategici con l’obiettivo di realizzare una società più competitiva e socialmente coesa e per modernizzare e rafforzare il modello sociale europeo.
Tra gli strumenti attraverso i quali è possibile perseguire tali obiettivi, un ruolo di primaria importanza spetta al Bilancio Sociale, un documento informativo che illustra l’attività di un’impresa, ma anche di altre organizzazioni, mettendo in luce la propria attività con il contesto sociale in cui opera.
Si rivolge generalmente agli stakeholder dell’impresa e permette di descrivere l’operato dell’impresa in rapporto alla sua mission ed ai suoi principi generali; di illustrare le proprie prestazioni in particolare dal punto di vista sociale; di divulgare informazioni necessarie al management per definire le strategie sociali dell’impresa; di verificare la coerenza tra gli obiettivi prefissati e i risultati raggiunti e, infine, di fissare gli obiettivi dell’impresa sotto il profilo sociale.
Secondo i dati del KPMG International Survey of Corporate Responsibility Reporting, le grandi imprese che pubblicano Bilanci Sociali sono circa il 64% delle imprese facenti parte del G250 – Global Fortune 250 companies e il 41% delle N100, un paniere composto dalle maggiori 100 imprese di 16 Paesi. A livello europeo, realizza un Bilancio Sociale circa il 65% delle imprese del Dow Jones 600 Europe, un indice che include 600 imprese europee di grandi e medie dimensioni. A livello italiano, invece, L’Osservatorio Bilanci CSR, creato da Avanzi nel 2004, dichiara che circa il 15% delle società quotate redige un Bilancio Sociale; percentuale che sale al 60% se si considerano le società a maggiore capitalizzazione S&P MIB40.
Il V Rapporto nazionale SWG per l’Osservatorio Socialis di Errepi Comunicazione “L’impegno sociale delle aziende in Italia”, sostiene che il 64% delle aziende con più di 100 dipendenti investe in CSR: di queste, la maggior parte può contare su fatturati molto consistenti e, tra le modalità che le aziende scelgono per operare nel tessuto della CSR, è prevalente quella di matrice “passiva”, cioè si limita a fare delle erogazioni economiche e/o materiali non investendo nell’operatività dell’impresa. Sempre secondo tale indagine, il Bilancio Sociale, è redatto dal 37% delle imprese.
Di dati attendibili non ve ne sono molti, ma secondo rilevazioni effettuate da Unioncamere sull’interesse mostrato dalle imprese italiane verso il Bilancio Sociale, emergerebbe che maggiore è la dimensione delle imprese più alto è il loro interesse per tale strumento, interesse che pertanto diminuirebbe con il contrarsi della dimensione aziendale. Questo dipende ovviamente dal fatto che cambiando la dimensione aziendale cambiano le ragioni per cui si decide di adottare comportamenti socialmente responsabili, ma bisogna puntualizzare come strumenti di questo tipo vadano a generare effetti positivi che in molti casi sono indipendenti dal tipo di impresa.
Al fine di diffondere quindi uno strumento come quello del Bilancio Sociale anche all’interno di quel vasto panorama produttivo composto dalle piccole e medie imprese, è necessaria una messa in rete delle stesse, in modo che possano cogliere vantaggi e benefici di tale strumento, in modo che le esperienze che già ci sono vadano moltiplicandosi. Un ruolo di primo piano potrebbero averlo ad esempio le associazioni di rappresentanza delle imprese, che dovrebbero essere capaci di creare la giusta rete e di sensibilizzare gli imprenditori ad intraprendere azioni di rendicontazione sociale di questo tipo.
Oltre a questo, sarebbe di vitale importanza, creare politiche di incentivazione più consistenti al fine di spingere gli attori imprenditoriali verso la rendicontazione sociale. Un freno alla sua diffusione, infatti, non può che provenire, in primo luogo, da una mancanza di ritorni immediati e da una mancanza di incentivi di mercato.