Perché non ha senso parlare di una Città metropolitana solo fiorentina

by Tommaso Rossi on 19 Luglio 2012

Il recente decreto del Governo sulla spending review rappresenta solo l’ultimo, in ordine di tempo, tentativo di riorganizzazione dell’assetto istituzionale del nostro Paese fatto in nome del nobilissimo fine del contenimento della spesa pubblica. Tra gli elementi qualificanti del decreto di revisione della spesa vi è l’accorpamento e riduzione delle province, con una significativa razionalizzazione delle competenze fino ad oggi previste per l’ente provincia, molte delle quali (tra cui scuola e lavoro) passerebbero negli ambiti di Comuni o Regione. In 10 grandi poli urbani italiani la Provincia verrà sostituita – almeno inizialmente con i medesimi confini – dalla Città Metropolitana (CM), l’ente fino ad oggi incompiuto previsto dal nostro ordinamento fin dal 1990.

Firenze rientra in quest’ultima fattispecie, e ormai da anni il dibattito politico locale ha espresso l’esigenza di un governo di area vasta capace di trascendere gli storici confini amministrativi ponendosi in una dimensione metropolitana reale. La differenza tra la Provincia e la CM si esemplifica in questi termini: la Provincia è un’area vasta che comprende un territorio solo in parte urbanizzato, composto da Comuni che sono identificabili come comunità distinte; la CM è un’area vasta urbanizzata in cui i Comuni sono strutturalmente connessi, dal punto di vista economico e sociale ed infrastrutturale.

Il decreto sopra richiamato si pone all’interno di un solco recente scavato a partire dalla Legge delega sul Federalismo fiscale (42/2009), che vuole l’individuazione dei contorni di un’area metropolitana entro i confini amministrativi della Provincia, di fatto una contraddizione in termini considerando i diversi criteri che necessariamente muovono la perimetrazione di una Provincia (amministrativi) e di una Città – o Area – Metropolitana (funzionali).

Sin dal 2000 il Consiglio regionale della Toscana riconosce l’attuale territorio delle Province di Firenze, Prato e Pistoia come l’area metropolitana della Toscana centrale, ovvero un territorio fortemente integrato sotto gli aspetti funzionali e infrastrutturali e dalle significative sinergie di area vasta. L’area, che rappresenta a livello fisico il 21% del territorio toscano, raccoglie ben il 41% della popolazione regionale. L’elevata incidenza di quest’area non si ferma al solo dato demografico, approfondendosi ancor più in quello economico: nell’area metropolitana della Toscana centrale viene prodotto circa la metà dell’intero PIL regionale e sono presenti alcune delle principali funzioni terziarie avanzate della regione.

La possibilità di una Città Metropolitana solo fiorentina confligge evidentemente con la natura stesso di questo Ente, e quindi con gli stessi principi di razionalizzazione della spesa che il Governo si propone. Da qualche mese la Commissione Speciale per la Città Metropolitana della Provincia di Firenze sta lavorando per portare una proposta in Parlamento che invece dia la possibilità di riconoscere de iure la realtà metropolitana de facto Firenze-Prato-Pistoia, cui spetterebbe – oltre alle funzioni delle soppresse province – la pianificazione territoriale generale e delle reti infrastrutturali; la strutturazione di sistemi coordinati di gestione dei servizi pubblici, nonché organizzazione dei servizi pubblici di interesse generale di ambito metropolitano; mobilità e viabilità; promozione e coordinamento dello sviluppo economico e sociale.

La Commissione Speciale ha licenziato nei giorni scorsi un documento – frutto della collaborazione con l’Università di Firenze e ReteSviluppo S.c. – che formalizza passaggi e proposte necessari per giungere alla concretizzazione della Città metropolitana, con tutte le consultazioni da sottoporre agli interlocutori nazionali.

Lo studio socio-economico presente all’interno del documento palesa in maniera evidente la necessità di un governo su scala metropolitana dell’area Firenze-Prato-Pistoia, caratterizzata da fenomeni e processi complessi in cui gli attuali limiti amministrativi delle odierne province rappresentano un limite, piuttosto che una risorsa. Il fine non sarebbe, dunque, quello di fare di tre province una sola, quanto piuttosto quello di dotare di un governo metropolitano un’area vasta caratterizzata da forti connessioni e da fenomeni che caratterizzano, appunto, la scala metropolitana e non solo quella della provincia riconducibile al capoluogo Firenze. Puntare su un’area metropolitana solo ‘fiorentina’ riproporrebbe schemi e soluzioni del passato in un contesto di competizione globale dei territori molto mutato, in cui gli effetti e le sinergie d’area vasta (dalle infrastrutture all’ambiente, fino alla programmazione economica) rappresentano una delle principali leve sui quali oggi occorre puntare affinchè la riforma istituzionale si traduca in un cambiamento qualitativo dei rapporti tra Pubblica Amministrazione e territorio.

Trincerarsi per la strenua difesa dei campanili appare oggi come la più anacronistica strategia che gli enti locali possano adottare per il mantenimento dello status quo. L’auspicio è che le amministrazioni locali si risolvano a spingere in maniera più decisa nei confronti del Governo verso il riconoscimento di una realtà, come quella della Toscana centrale, che può rappresentare un importante passo in avanti per il superamento della frammentazione istituzionale che caratterizza in maniera così marcata il nostro Paese

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