Sharing Economy nel turismo, innovandolo: Guide Me Right

by Tommaso Rossi on 1 Dicembre 2015

Luca Sini, trentenne sassarese, incarna perfettamente lo spirito della generazione dei “Millennials”, ovvero quei ragazzi nati tra l’inizio degli anni ’80 e la fine degli anni ‘90 perfettamente a proprio agio con le nuove tecnologie digitali, tanto da trasformarle nel proprio lavoro.

Nel suo caso, però, lavoro vuol dire autoimprenditorialità e, soprattutto, Sharing Economy, essendo co-fondatore e CEO di Guide Me Right, una piattaforma digitale tutta Made in Italy che consente ai viaggiatori di provare nuove esperienze di viaggio grazie ai ‘Local Friend’, persone del posto che organizzano itinerari inediti basati sulla filosofia del ‘turismo esperienziale’. Al contrario di altre piattaforme di Sharing Economy, come ad esempio Uber e Airbnb, Guide Me Right non entra in diretta concorrenza con gli operatori tradizionali (in questo caso, le guide turistiche), ripensando piuttosto l’esperienza di viaggio e centrandola maggiormente sulle aspettative del turista.

Lo abbiamo intervistato per capire meglio la filosofia delle piattaforme di Sharing e il perché questi soggetti incontrano oggi una grossa resistenza da parte degli operatori economici tradizionali.

Come nasce Guide Me Right?

Nasce da una combinazione di esperienze professionali e personali di tipo accademico: ho fatto l’Erasmus e poi mi sono trovato ad ospitare degli spagnoli in Sardegna, quindi io stesso ho fatto da Local Friend; ho studiato poi il funzionamento delle agenzie di viaggio on line e, durante un master in Inghilterra, ho studiato i sistemi di rating peer to peer, alla TripAdvisor, nel sistema turistico. Dalla combinazione di queste cose, è venuto fuori lo spunto per Guide Me Right, che si basa sull’idea di viaggiare che piace a me e a tutti quelli che fanno parte del team, ovvero in compagnia di un amico del posto. L’idea è stata presentata nel 2013 allo Start up weekend di Tiscali, dove ha vinto il premio, dandoci quindi la possibilità di far partire il progetto.

Quante persone hanno aderito ad oggi alla piattaforma?

Oggi abbiamo raggiunto i 300 Local Friend in Italia, i quali offrono oltre 900 diverse esperienze di viaggio. Stiamo crescendo abbastanza velocemente: meno di un mese fa avevamo circa 250 Local friend attivi. Il nostro obiettivo è arrivare, entro i prossimi 6 mesi, a 1.000 Local Friend in tutta Italia, ma pure quello di diffondere il servizio in maniera capillare anche ad altri Paesi.

Vi sono alcuni grossi player (Uber, Airbnb) che vengono criticati, perché accusati di fare concorrenza sleale. Queste accuse sono state rivolte anche a voi? Se sì, cosa rispondete a queste critiche?

Queste critiche sono arrivate anche a noi. Dal mio punto di vista non si può generalizzare, perché ogni piattaforma è diversa da tutte le altre, per cui Guide Me Right non può essere paragonata a Uber. Credo che bisogna comunque fare i conti con il processo di liberalizzazione che è in atto negli ultimi anni: se fino a 20 anni fa un commerciante era tranquillo e garantito da una licenza di vendita, improvvisamente queste licenze hanno smesso di avere valore. È inoltre cambiato il meccanismo di costruzione della reputazione delle attività: ormai una certificazione da parte di un ente vale certamente meno del ranking di una determinata attività su TripAdvisor . Chi in passato ha lavorato per acquisire quelle certificazioni, oggi cerca di difendere la  propria posizione; dal mio punto di vista deve cambiare la mentalità e cambiare questo tipo di equilibri: l’ente certificatore non può essere più il pubblico o un privato, ma una comunità di utenti fruitori di un determinato bene o servizio.

A che punto è la normativa italiana sulla Sharing Economy?

C’è un totale vuoto normativo. Ci sono delle norme che ambiscono a regolare delle professioni, ma creano dei problemi perché, oltre ad essere spesso opache, cambiano da regione a regione, a volte contraddicendo la giurisprudenza europea. Il fatto è che le norme ad oggi esistenti sono nate e sono state pensate per un altro tipo di società, ovvero sono regole che andavano bene per il periodo in cui sono state formulate.

Agli albori della Sharing economy le esperienze partivano soprattutto dal basso. Con il tempo si sono però costruiti monopoli, o oligopoli, detenuti da grosse compagnie private. Ritieni che possa essere un rischio per la Sharing economy perdere la propria natura bottom up?

Nella Sharing economy credo sia fondamentale la presenza di grossi player in grado di assicurare tanta domanda e tanta offerta all’interno del marketplace. Sono servizi offerti da non professionisti, per cui occorre che ci sia una vasta offerta garantita da grossi attori che aggregano i soggetti che vi partecipano. Questa concentrazione può essere un rischio? In realtà le piattaforme di Sharing economy si basano sui meccanismi della community, su un sistema di valutazione reciproca degli utenti, su un senso di appartenenza senza i quali non avrebbero ragione di esistere.

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Il conflitto russo-ucraino può comportare una perdita di 120 milioni per le imprese fiorentine

by Tommaso Rossi on 2 Settembre 2014

centro commerciale MoscaLa crisi ucraina sta per presentare un conto salatissimo alle aziende fiorentine. Il Presidente russo Vladimir Putin ha ordinato infatti l’embargo su una lista di prodotti provenienti dall’Unione Europea e dagli Stati Uniti, in risposta alle sanzioni economiche comminate al suo Paese. Divieto di importazione di prodotti alimentari e, dal 1 settembre, di quelli legati al settore Moda: una batosta per le imprese dell’area metropolitana fiorentina quantificabile in circa 120 milioni di euro, pari al valore delle esportazioni realizzate verso la Russia da questi due settori nel corso del 2013.

La stima del danno che attenderebbe le imprese esportatrici fiorentine potrebbe essere in realtà più contenuta, considerando che l’embargo è limitato ad alcuni prodotti: via libera, ad esempio, ad eccellenze enogastronomiche quali vino e olio. Allo stesso tempo l’escalation del conflitto russo-ucraino in corso nelle ultime settimane potrebbe portare ad un muro contro muro diplomatico tra UE-USA, da un lato, e Russia, dall’altro: se l’embargo fosse esteso a tutti  i prodotti, il danno per l’economia fiorentina potrebbe allora assumere proporzioni ben più gravi, quantificabile in circa 300 milioni di euro, ovvero il 3,1% dell’export dell’area metropolitana. Appare inoltre non secondario sottolineare come, negli ultimi anni, il mercato russo sia stato tra quelli a maggiore crescita per le imprese fiorentine: dal 2011 al 2013 le esportazioni verso la Russia sono cresciute del 27,4%, un saldo positivo cui le imprese sono ormai davvero ben poco abituate a rapportarsi negli ultimi anni.

I dati sull’export verso la Russia delle imprese fiorentine, elaborati da reteSviluppo S.c. (Istat-Coeweb), mostrano quindi seri rischi di un indebolimento della presenza di queste aziende sui mercati internazionali. “Sulla politica estera”, commenta Marco Scarselli, ricercatore reteSviluppo, “chiaramente le aziende hanno ben poca facoltà di incidere, per questo il rischio di perdere un mercato che ha mostrato notevoli potenzialità negli ultimi anni non può che essere qualcosa che spaventa il tessuto produttivo fiorentino. L’attendismo, in questo caso, non può che peggiorare la situazione: occorre che le nostre aziende si mettano immediatamente alla ricerca di sbocchi di mercato alternativi, senza dimenticare che la qualità di alcune delle nostre produzioni resta non sostituibile dalla concorrenza proveniente da altri Paesi. Anche per questo motivo, è lecito pensare che il mercato russo non vada completamente perso anche di fronte ad un peggioramento delle relazioni diplomatiche tra Putin e i Paesi dell’Unione Europea”.

Se da un lato non è pensabile che la Russia possa proseguire con un atteggiamento di autarchia di sovietica memoria, è pur vero che altri Paesi nel frattempo non sono rimasti certo a guardare, cercando di sfruttare il gelo che si è creato tra l’ex gigante comunista e le democrazie occidentali: Turchia, Brasile ed altri Paesi latino-americani nelle ultime settimane stanno stringendo accordi di scambio con il mercato russo. Oltre agli effetti immediati sulla bilancia commerciale delle imprese dell’area fiorentina, la crisi di Kiev potrebbe comportare quindi degli effetti molto più duraturi nel medio e lungo termine.

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Consumi: toscani più poveri rispetto al 2007

by Tommaso Rossi on 29 Luglio 2014

La crisi morde anche in Toscana e le famiglie adeguano la loro spesa alla situazione economica.  Secondo l’approfondimento di reteSviluppo, spin off dell’Università di Firenze, su dati Istat, la spesa media mensile per famiglia in Toscana nel 2013 è pari a 2.567 euro, registrando una diminuzione del -2,2% rispetto al 2007. “Dopo sei anni – commenta rete Sviluppo  – le famiglie spendono mediamente 59 euro in meno al mese. Da sottolineare però che la contrazione verificatasi a livello regionale è stata di dimensioni più contenute rispetto a quella nazionale, dove la riduzione mensile media è ancora superiore, pari a circa 121 euro (-4,9%)”. L’analisi approfondita dei dati evidenzia come la Toscana abbia avuto un picco negativo nel  2009 da cui è uscita nel 2011, addirittura con valori più alti della fase pre-crisi. In Italia, al contrario, nel 2013 la media ha raggiunto un valore inferiore rispetto a quello regionale: le famiglie spendono in media 208 euro in meno al mese rispetto a quelle toscane.

L’approfonConsumi dimento si concentra sui dati che riguardano la nostra regione. Alla fine del  2013 le famiglie toscane spendono 470 euro per alimentari e bevande, 7 euro in più rispetto a sei anni fa (461 euro a livello nazionale). Sono invece in diminuzione gli acquisti dei prodotti non alimentari: ben 64 euro in meno al mese rispetto al 2007. Un confronto tra la spesa per generi alimentari e bevande e generi non alimentari mostra tuttavia come questi ultimi rappresentino ancora oltre l’80% della spesa del budget familiare. Continua ad avere un peso significativo all’interno del budget familiare la spesa per la casa che assorbe circa 1/3 delle spese complessive; positiva anche la crescita della spesa per l’istruzione (+40%). Preoccupano i dati sulla diminuzione della spesa per la salute (-4,2% rispetto al 2007), indicativi delle criticità che stanno vivendo le famiglie toscane; normalmente la salute è sempre una delle ultime voci che vengono intaccate e se la contrazione dei consumi riguarda anche questo settore significa che i toscani hanno già tagliato la maggior parte delle altre voci di spesa non alimentari.

“Questa dinamica – sottolineano i ricercatori – mostra come le famiglie toscane stiano mediamente perdendo potere d’acquisto e come stiano orientando la spesa soprattutto verso beni di prima necessità rispetto ai cosiddetti beni superiori: dal 2007 al 2013 hanno tagliato in particolare su abbigliamento e calzature (-20%), comunicazioni  (-12%), trasporti (-9%), mobili, elettrodomestici e servizi per la casa (-10%), tempo libero, cultura e giochi  (-7%)”.

“La contrazione dei consumi – conclude reteSviluppo –  influenza inevitabilmente il trend economico generale alimentando le difficoltà della produzione e delle aziende, che a sua volta provoca l’aumento dei disoccupati e dei cassa integrati. Per intervenire su questa spirale sarebbe strategico intervenire attraverso un processo di detassazione rivolto alle famiglie, in particolare verso quelle a reddito fisso. Sembra dunque positiva la “manovra degli 80 euro al mese” portata avanti dal governo Renzi  che potrebbe rilanciare la domanda interna.  Sarebbero necessarie ulteriori manovre strutturali complementari capaci di incidere sul sistema fiscale e concreti investimenti per lo sviluppo economico, tecnologico e per la ricerca, fondamentali per la ripresa dell’economia e dell’occupazione. Su questo versante non si intravedono ancora interventi significativi e probabilmente saranno soltanto questi ultimi a dare un contributo decisivo per risollevare la situazione economica anche in Toscana”.

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Artigianato toscano: perse 9 mila imprese durante la crisi

by Tommaso Rossi on 24 Aprile 2014

L’artigianato rappresenta un tassello fondamentale del mosaico produttivo della Toscana, eppure dall’inizio della crisi economica l’intero comparto è stato uno tra i più colpiti: il numero di imprese è passato dalle quasi 119 mila del 2008 alle 110.649 del 2013, con una perdita media di oltre 1.600 imprese l’anno. Secondo i dati Unioncamere nell’attuale congiuntura, la Toscana avrebbe visto diminuire del 7% il proprio patrimonio imprenditoriale artigiano, anche se l’intensità di tale crisi ha conosciuto gradazioni diverse a livello provinciale: si parte dal -2,3% di Massa-Carrara, al -2,4% di Prato, passando per il -5,2% di Firenze fino al -9,8% di Siena.

I dati ruvidi del settore sono quindi accomunati a livello regionale dal segno meno e le elaborazioni compiute da reteSviluppo, società di ricerca – spin off dell’Università di Firenze, rivelano che l’artigianato toscano, così come nel resto del Paese, ha pagato soprattutto la crisi del settore edilizio; tale comparto è stato il primo ad essere colpito nell’ormai lontano 2008 e ha riscontrato una diminuzione del numero di imprese dell’11% attestandosi, nel 2013, a 45.182. Un contributo negativo proviene anche dal settore Manifatturiero, il cui numero di aziende è diminuito del 4,6%: un comparto che comprende tutte le realtà dell’indotto della grande industria toscana e molte delle eccellenze regionali nei campi dell’artigianato tradizionale e artistico.

Segnali positivi provengono invece da alcuni settori minori dell’artigianato toscano in termini di numero di imprese: in agricoltura le aziende sono cresciute del 4,8% rispetto al 2008, così come nelle attività ricettive legate al turismo (+9,5%); è molto buono anche il saldo di imprese artigiane nei settori del Noleggio, agenzie di viaggio e servizi di supporto alle imprese (+18,7%). Tali dati, commenta il Presidente reteSviluppo Lapo Cecconi, segnalano in maniera evidente che “anche nell’artigianato è in atto un processo di terziarizzazione, ovvero di maggiore sviluppo di quelle attività legate ai Servizi”.

Il patrimonio di saper fare e strutture di impresa legate alla Manifattura restano tuttavia centrali per l’artigianato toscano: proprio nei giorni della Mostra dell’Artigianato, che si celebra a Firenze dal 24 aprile al 1° maggio, pare utile riportare al centro dell’agenda politica questo modo di fare impresa che per secoli ha rappresentato il nucleo dell’attuale struttura produttiva regionale e degli stessi distretti industriali toscani. Nell’ambito della formazione dei giovani, la Toscana si è già mossa nel 2012 con il Regolamento attuativo della legge che ha istituito le botteghe scuola (53/2008), dando la possibilità agli studenti, come nel Rinascimento, di imparare il mestiere al fianco di un maestro artigiano, apportando al contempo la propria formazione teorica e il proprio bagaglio di know-how legato alle nuove tecnologie per il design e la commercializzazione dei prodotti.

I passi da compiere dall’impresa artigiana per intraprendere il cammino della ripresa sembrano ancora tanti, ed investono soprattutto la dimensione organizzativa e gestionale dell’impresa: si tratta di micro o imprese individuali, che non hanno un chiaro sviluppo di competenze legate al marketing o a un approccio più competitivo verso i mercati esteri. La maggioranza delle eccellenze restano locali, e non crescono per via di una domanda interna ancora asfittica. Una prima soluzione a questi problemi strutturali dell’artigianato potrebbe venire proprio dallo sviluppo di servizi a supporto delle imprese, consentendo agli artigiani di uscire da logiche individualiste per sfruttare appieno le opportunità che prevengono dalle reti di impresa.

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