Il valore della cultura

by Tommaso Rossi on 28 Febbraio 2017

In Italia sembra esistere la consapevolezza dell’importanza della cultura per l’economia nazionale.

Questo settore però non viene considerato come prioritario, non c’è impegno nella valorizzazione delle sue potenzialità e si resta ancorati all’idea di una cultura appartenente alla sfera del tempo libero, un bene di consumo occasionale e, soprattutto, fuori dal mercato.

In realtà, secondo il Rapporto 2016 “Io sono cultura – l’Italia della qualità e della bellezza sfida la crisi” elaborato da Fondazione Symbola e Unioncamere, il sistema produttivo creativo e culturale italiano rappresenta nel 2015 il 6,1% della ricchezza complessiva del paese, pari a 89.725,2 milioni di euro. Anche a livello occupazionale il settore registra, sul totale della forza lavoro nel 2015, una quota di 6,1%, contando 1, 4919 milioni di occupati.

Se comparato all’economia complessiva del paese, che presenta valori di -0.1% per quanto riguarda il valore aggiunto e -1.5% sull’occupazione, il settore culturale e creativo risulta in crescita. Rispetto al 2011, infatti, è stato rilevato un incremento di 3600 di occupati (+0.2%) e di 538 milioni di euro sul valore aggiunto (+0.6%).

Un dato sull’occupazione di notevole interesse appare nel primo studio sull’Industria della Cultura e della Creatività in Italia pubblicato nel 2016 da EY (Ernst & Young) “Italia Creativa”. E’ emerso infatti che l’industria culturale e creativa si colloca in Italia al terzo posto in termini di numero di occupati sull’economia nazionale, preceduta soltanto dal settore delle costruzioni e da quello dell’industria alberghiera e ristorativa. Inoltre nel 2014, ulteriore elemento in controtendenza, ben il 41% degli occupati nell’Industria della Cultura e della Creatività ha un’età compresa tra i 15 e i 39 anni (a fronte di un valore medio nazionale pari a 37%).

Un pensiero comune è quello secondo il quale l’unico veicolo tramite il quale la cultura possa produrre ricchezza sia il turismo. Questo può portare a concentrare le risorse disponibili esclusivamente intorno a strategie di potenziamento della fruizione di monumenti storici e musei, nonché di attrazione di flussi turistici, rischiando di dar luogo ad  economie a basso grado di qualificazione con risultati solo nel breve periodo. Il turismo, pur essendo il principale beneficiario dello spillover culturale, non rientra in realtà nella classificazione dei settori appartenenti al sistema produttivo culturale e creativo, pertanto non ne viene tenuto conto nelle stime sopra descritte. Viene tuttavia considerato come un settore complementare a quello della cultura, che attiva il 37,5% della spesa turistica complessiva in Italia (Symbola, Unioncamere 2016).

Quando si parla di cultura, soprattutto in Italia, la si identifica inoltre spesso con il solo patrimonio storico-artistico. Quello che invece è importante sottolineare è che il sistema produttivo culturale e creativo è molto più ampio e che uno dei suoi elementi caratterizzanti è proprio la creatività. Quello del patrimonio storico-artistico è solo uno dei suoi settori costituenti che, per altro, si posiziona ad una delle ultime postazioni in termini di valore aggiunto ed occupazione. Performing arts e arti visive, Industrie creative e Industrie culturali sono gli altri settori che vanno a formare il così detto core delle attività culturali. Ad essi si aggiunge quello del Creative Driven, che, da solo, rappresenta il 38,2 % del valore aggiunto e il 38,7% degli occupati del sistema produttivo culturale e creativo.

Alla luce di questi dati, non resta che prendere in prestito le parole di uno dei maggiori rappresentanti della cultura italiana, Umberto Eco: “Con la cultura si mangia, non si mangia con l’anoressia culturale”.

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Tommaso RossiIl valore della cultura

Sharing Economy nel turismo, innovandolo: Guide Me Right

by Tommaso Rossi on 1 Dicembre 2015

Luca Sini, trentenne sassarese, incarna perfettamente lo spirito della generazione dei “Millennials”, ovvero quei ragazzi nati tra l’inizio degli anni ’80 e la fine degli anni ‘90 perfettamente a proprio agio con le nuove tecnologie digitali, tanto da trasformarle nel proprio lavoro.

Nel suo caso, però, lavoro vuol dire autoimprenditorialità e, soprattutto, Sharing Economy, essendo co-fondatore e CEO di Guide Me Right, una piattaforma digitale tutta Made in Italy che consente ai viaggiatori di provare nuove esperienze di viaggio grazie ai ‘Local Friend’, persone del posto che organizzano itinerari inediti basati sulla filosofia del ‘turismo esperienziale’. Al contrario di altre piattaforme di Sharing Economy, come ad esempio Uber e Airbnb, Guide Me Right non entra in diretta concorrenza con gli operatori tradizionali (in questo caso, le guide turistiche), ripensando piuttosto l’esperienza di viaggio e centrandola maggiormente sulle aspettative del turista.

Lo abbiamo intervistato per capire meglio la filosofia delle piattaforme di Sharing e il perché questi soggetti incontrano oggi una grossa resistenza da parte degli operatori economici tradizionali.

Come nasce Guide Me Right?

Nasce da una combinazione di esperienze professionali e personali di tipo accademico: ho fatto l’Erasmus e poi mi sono trovato ad ospitare degli spagnoli in Sardegna, quindi io stesso ho fatto da Local Friend; ho studiato poi il funzionamento delle agenzie di viaggio on line e, durante un master in Inghilterra, ho studiato i sistemi di rating peer to peer, alla TripAdvisor, nel sistema turistico. Dalla combinazione di queste cose, è venuto fuori lo spunto per Guide Me Right, che si basa sull’idea di viaggiare che piace a me e a tutti quelli che fanno parte del team, ovvero in compagnia di un amico del posto. L’idea è stata presentata nel 2013 allo Start up weekend di Tiscali, dove ha vinto il premio, dandoci quindi la possibilità di far partire il progetto.

Quante persone hanno aderito ad oggi alla piattaforma?

Oggi abbiamo raggiunto i 300 Local Friend in Italia, i quali offrono oltre 900 diverse esperienze di viaggio. Stiamo crescendo abbastanza velocemente: meno di un mese fa avevamo circa 250 Local friend attivi. Il nostro obiettivo è arrivare, entro i prossimi 6 mesi, a 1.000 Local Friend in tutta Italia, ma pure quello di diffondere il servizio in maniera capillare anche ad altri Paesi.

Vi sono alcuni grossi player (Uber, Airbnb) che vengono criticati, perché accusati di fare concorrenza sleale. Queste accuse sono state rivolte anche a voi? Se sì, cosa rispondete a queste critiche?

Queste critiche sono arrivate anche a noi. Dal mio punto di vista non si può generalizzare, perché ogni piattaforma è diversa da tutte le altre, per cui Guide Me Right non può essere paragonata a Uber. Credo che bisogna comunque fare i conti con il processo di liberalizzazione che è in atto negli ultimi anni: se fino a 20 anni fa un commerciante era tranquillo e garantito da una licenza di vendita, improvvisamente queste licenze hanno smesso di avere valore. È inoltre cambiato il meccanismo di costruzione della reputazione delle attività: ormai una certificazione da parte di un ente vale certamente meno del ranking di una determinata attività su TripAdvisor . Chi in passato ha lavorato per acquisire quelle certificazioni, oggi cerca di difendere la  propria posizione; dal mio punto di vista deve cambiare la mentalità e cambiare questo tipo di equilibri: l’ente certificatore non può essere più il pubblico o un privato, ma una comunità di utenti fruitori di un determinato bene o servizio.

A che punto è la normativa italiana sulla Sharing Economy?

C’è un totale vuoto normativo. Ci sono delle norme che ambiscono a regolare delle professioni, ma creano dei problemi perché, oltre ad essere spesso opache, cambiano da regione a regione, a volte contraddicendo la giurisprudenza europea. Il fatto è che le norme ad oggi esistenti sono nate e sono state pensate per un altro tipo di società, ovvero sono regole che andavano bene per il periodo in cui sono state formulate.

Agli albori della Sharing economy le esperienze partivano soprattutto dal basso. Con il tempo si sono però costruiti monopoli, o oligopoli, detenuti da grosse compagnie private. Ritieni che possa essere un rischio per la Sharing economy perdere la propria natura bottom up?

Nella Sharing economy credo sia fondamentale la presenza di grossi player in grado di assicurare tanta domanda e tanta offerta all’interno del marketplace. Sono servizi offerti da non professionisti, per cui occorre che ci sia una vasta offerta garantita da grossi attori che aggregano i soggetti che vi partecipano. Questa concentrazione può essere un rischio? In realtà le piattaforme di Sharing economy si basano sui meccanismi della community, su un sistema di valutazione reciproca degli utenti, su un senso di appartenenza senza i quali non avrebbero ragione di esistere.

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Tommaso RossiSharing Economy nel turismo, innovandolo: Guide Me Right

Investire nel turismo in Italia

by Tommaso Rossi on 16 Settembre 2015

Il turismo è da sempre uno dei settori italiani che offre le maggiori potenzialità, favorito ovviamente dalle innumerevoli bellezze paesaggistiche del Bel Paese.

Investire nel settore del turismo è una pratica che anche in anni di crisi come quelli attuali sta riscuotendo un certo successo osservando i dati, che mostrano una certa controtendenza per quanto concerne le imprese riguardanti gli alloggi e la ristorazione.

I dati di Infocamere, analizzati ed elaborati da reteSviluppo, istituto di ricerca fiorentino, mostrano come le imprese operanti nei settori turistici, come attività di alloggio e ristoranti, siano cresciute negli ultimi cinque anni al contrario degli altri settori che, a causa della grave crisi economica, hanno diminuito il proprio numero. Il dato nazionale, infatti, vede negli ultimi 5 anni una diminuzione delle imprese totali del 2,56%, con diminuzioni marcate in settori come l’agricoltura (-12,78%) e l’industria (-7,86%); al contrario, le imprese operanti in attività di alloggio e ristorazione sono aumentate, dal 2009 al 2014, del 10,16%.

I dati, quindi, mostrano come il settore del turismo sia continuamente in espansione; ciò è confermato anche dal numero di imprese operanti in settori come attività artistiche, sportive, di intrattenimento e divertimento, che, dal 2009 al 2014, si accrescono a livello nazionale del 12,59%.

Anche in Toscana il trend è positivo: mentre le imprese totali si riducono del 2,47% negli ultimi 5 anni, le imprese specializzate in attività di alloggio e ristorazione crescono del 10,44%, registrando incrementi in tutte le province e in modo particolare nelle province di Firenze (+13,12%), Pisa (+18,73%) e Arezzo (+14,35%).

Ma la crescita più cospicua, è rappresentata dal turismo straniero: i dati della Banca d’Italia, sempre analizzati ed elaborati da reteSviluppo, mostrano come la spesa dei turisti stranieri in Italia sia cresciuta negli ultimi 5 anni del 18,36%, dato che in Toscana raggiunge il 24,67%, trainato dalle province di Firenze (+33,45%) e Siena (+36,53%).

Il numero dei turisti a livello mondiale sta aumentando negli anni e, di conseguenza, sta aumentando anche il fatturato legato a questa industria. È continua la nascita di nuove mete turistiche e, allo stesso tempo, il settore turistico si sta segmentando uniformandosi ai sempre nuovi flussi turistici ed ai nuovi clienti sempre più diversificati tra loro. Per tutti questi motivi, il turismo è continuamente alla ricerca di nuovi servizi da offrire e tale dinamica porta alla nascita di un gran numero di soggetti in ogni particolare segmento.

E’ tuttavia necessaria una sinergia anche con il settore pubblico che dovrebbe investire in infrastrutture, difesa dell’ambiente e beni culturali; si stima che il PIL generato dal settore turistico sia del 10,3% rispetto al totale, ma non mancano potenzialità per incrementare tale quota favorendo nuova imprenditoria e portando a una maggiore occupazione giovani e donne.

Le opportunità per investire nel turismo sono molte. L’Unione Europea offre diversi strumenti di finanziamento per il turismo, rivolti sia alle PMI che agli enti locali, con programmi specifici destinati a particolari aree tematiche come il turismo sostenibile, il turismo marittimo e costiero, il turismo culturale e favorendo l’utilizzo e l’introduzione delle ICT nel settore. Anche le stesse regioni italiane mettono a disposizione diverse opportunità di finanziamento con bandi specifici per le imprese del settore.

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Tommaso RossiInvestire nel turismo in Italia

Geografia della crisi Toscana provincia per provincia

by Tommaso Rossi on 1 Ottobre 2014

 

Firenze ha retto l’onda della crisi con l’export, trainato da moda e meccanica, garantendo occupazione con il turismo. Massa è stata aggredita nell’edilizia e nelle costruzioni, e la ristorazione, il commercio e i servizi non hanno supplito a quanto la crisi ha «mangiato» nel resto della sua economia. A Prato invece l’occupazione è aumentata, però solo grazie a produzioni a basso valore aggiunto. Sono solo tre delle 10 fotografie che arrivano dai dati elaborati da Rete Sviluppo.

Le province che complessivamente sono andate meglio nell’ultimo periodo sono Firenze, Pisa (dove l’occupazione e l’aumento delle imprese sono dati positivi legati al turismo e all’hi-tech), Arezzo (con un exploit del settore oro, dopo anni di stallo) e Lucca (ma soprattutto, quasi solamente, grazie alle cartiere). Quelle peggiori sono state Massa, Prato (dove l’abbigliamento ha sostituito il tessile, cioè una produzione meno «ricca») ma anche Livorno. Anzi, per la (ex) principale provincia siderurgica e industriale della Toscana, se i dati fossero stati raccolti fin dall’inizio della sua crisi (metà del decennio scorso) il giudizio sarebbe ancora più severo.

Nel mezzo, con alterne fortune, si trovano Pistoia, dove l’export (soprattutto da i vivai) tiene ma non dà segnali sul fronte dell’occupazione. A Siena la farmaceutica traina l’export ma la crisi di Mps si fa sentire soprattutto sul consumo al dettaglio e sul valore aggiunto. Le tante crisi delle industrie grossetane vengono (pochissimo) attenuate dal buon successo dell’export, legato all’agricoltura.

immagine blog

Se invece si va a vedere un periodo più lungo, cioè gli anni della crisi (dal 2009 al 2013) si nota come proprio a Massa ci sia il dato migliore per imprese attive (confronto primo trimestre 2009-2014): l’1,98 in più, così come a Prato (0,47%), mentre tutte le altre, comprese Pisa e Firenze, hanno un saldo negativo, fino al «fanalino di coda» Lucca (-5,31%). Lapo Cecconi, presidente di Rete Sviluppo, e il ricercatore Marco Scarselli spiegano: «Massa ha visto nascere più aziende, ma sono dei settori del terziario di basso livello, con scarso valore aggiunto. È la provincia con più “neet” (ragazzi che non studiano, non cercano lavoro e non si formano) della Toscana». Prato, nonostante i dati sul numero di imprese in positivo (+0,7% confronto primo trimestre 2013-2014) è proprio la città che ha retto peggio alla crisi. Prato ha infatti una vivacità imprenditoriale che non aumenta il Pil procapite: il tessile è stato sostituito dall’abbigliamento, soprattutto di ditte cinesi, quindi si lavora di più ma si “guadagna” di meno. Nel lungo periodo, forse, sarà un vantaggio. Nel breve, è un problema. Lo stesso che hanno avuto, nei 5 anni presi in considerazione dalle analisi, anche Lucca, Pistoia, Siena e Grosseto: quelle che hanno subito di più la crisi. E anche i segnali positivi di Grosseto sono soprattutto un “effetto rimbalzo”. Dal fondo, insomma, si può risalire.

 

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Tommaso RossiGeografia della crisi Toscana provincia per provincia

Consumi: toscani più poveri rispetto al 2007

by Tommaso Rossi on 29 Luglio 2014

La crisi morde anche in Toscana e le famiglie adeguano la loro spesa alla situazione economica.  Secondo l’approfondimento di reteSviluppo, spin off dell’Università di Firenze, su dati Istat, la spesa media mensile per famiglia in Toscana nel 2013 è pari a 2.567 euro, registrando una diminuzione del -2,2% rispetto al 2007. “Dopo sei anni – commenta rete Sviluppo  – le famiglie spendono mediamente 59 euro in meno al mese. Da sottolineare però che la contrazione verificatasi a livello regionale è stata di dimensioni più contenute rispetto a quella nazionale, dove la riduzione mensile media è ancora superiore, pari a circa 121 euro (-4,9%)”. L’analisi approfondita dei dati evidenzia come la Toscana abbia avuto un picco negativo nel  2009 da cui è uscita nel 2011, addirittura con valori più alti della fase pre-crisi. In Italia, al contrario, nel 2013 la media ha raggiunto un valore inferiore rispetto a quello regionale: le famiglie spendono in media 208 euro in meno al mese rispetto a quelle toscane.

L’approfonConsumi dimento si concentra sui dati che riguardano la nostra regione. Alla fine del  2013 le famiglie toscane spendono 470 euro per alimentari e bevande, 7 euro in più rispetto a sei anni fa (461 euro a livello nazionale). Sono invece in diminuzione gli acquisti dei prodotti non alimentari: ben 64 euro in meno al mese rispetto al 2007. Un confronto tra la spesa per generi alimentari e bevande e generi non alimentari mostra tuttavia come questi ultimi rappresentino ancora oltre l’80% della spesa del budget familiare. Continua ad avere un peso significativo all’interno del budget familiare la spesa per la casa che assorbe circa 1/3 delle spese complessive; positiva anche la crescita della spesa per l’istruzione (+40%). Preoccupano i dati sulla diminuzione della spesa per la salute (-4,2% rispetto al 2007), indicativi delle criticità che stanno vivendo le famiglie toscane; normalmente la salute è sempre una delle ultime voci che vengono intaccate e se la contrazione dei consumi riguarda anche questo settore significa che i toscani hanno già tagliato la maggior parte delle altre voci di spesa non alimentari.

“Questa dinamica – sottolineano i ricercatori – mostra come le famiglie toscane stiano mediamente perdendo potere d’acquisto e come stiano orientando la spesa soprattutto verso beni di prima necessità rispetto ai cosiddetti beni superiori: dal 2007 al 2013 hanno tagliato in particolare su abbigliamento e calzature (-20%), comunicazioni  (-12%), trasporti (-9%), mobili, elettrodomestici e servizi per la casa (-10%), tempo libero, cultura e giochi  (-7%)”.

“La contrazione dei consumi – conclude reteSviluppo –  influenza inevitabilmente il trend economico generale alimentando le difficoltà della produzione e delle aziende, che a sua volta provoca l’aumento dei disoccupati e dei cassa integrati. Per intervenire su questa spirale sarebbe strategico intervenire attraverso un processo di detassazione rivolto alle famiglie, in particolare verso quelle a reddito fisso. Sembra dunque positiva la “manovra degli 80 euro al mese” portata avanti dal governo Renzi  che potrebbe rilanciare la domanda interna.  Sarebbero necessarie ulteriori manovre strutturali complementari capaci di incidere sul sistema fiscale e concreti investimenti per lo sviluppo economico, tecnologico e per la ricerca, fondamentali per la ripresa dell’economia e dell’occupazione. Su questo versante non si intravedono ancora interventi significativi e probabilmente saranno soltanto questi ultimi a dare un contributo decisivo per risollevare la situazione economica anche in Toscana”.

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Tommaso RossiConsumi: toscani più poveri rispetto al 2007

Rimesse cinesi, ogni giorno Prato perde mezzo milione di euro

by Tommaso Rossi on 24 Giugno 2014

Le aziende cinesi a Prato realizzano una produzione annuale che varia dai 2 ai 2,3 miliardi di euro, secondo uno studio condotto da Irpet, con un contenuto di valore aggiunto variabile tra i 680 e gli 800 milioni di euro, vale a dire tra il 10,9% e il 12,7% del totale del valore aggiunto dell’intera provincia, ma più della metà se consideriamo il solo settore del tessile-abbigliamento. L’imprenditoria cinese a Prato negli anni è cresciuta non soltanto nel settore dominante del territorio, allargandosi anche al commercio e ai servizi.

Prato è anche la provincia toscana in cui le rimesse cinesi raggiungono i valori più elevati: dal 2007 al 2009, in media, 423 milioni di euro l’anno hanno lasciato il territorio diretti verso la Cina, cifra che si è abbassata nel triennio 2010-2012 ad una media annuale di 196 milioni di euro, anche se occorre dire che basterebbe far partire fisicamente le operazioni da un’altra provincia per mascherare i flussi di denaro in uscita da Prato. Ad ogni modo tra il 2005 ed il 2012 la provincia laniera ha visto crescere le rimesse verso la Cina del 930%. La fuga di capitali all’estero (capital flight) provoca inevitabilmente un prosciugamento di risorse a capacità produttive del territorio, è del resto un fenomeno molto più complesso di quanto possa apparire dalla sua definizione: ogni anno escono dall’Italia capitali per decine e decine di miliardi di euro.

Le infografiche di ReteSviluppo

Un’operazione a Prato della Guardia di Finanza, chiamata, non a caso, “Cian Liu”, (Fiume di denaro), ha messo in luce quello che è un fenomeno in continua espansione, fondato sul pericoloso binomio evasione fiscale/riciclaggio. L’indagine ha infatti a suo tempo intercettato un vero e proprio fiume di denaro indirizzato dall’Italia (tramite San Marino) verso la Cina per quasi tre miliardi di Euro, movimentato tramite una società di money transfer con sub agenzie sparse in tutta Italia ed in particolare in Toscana. Nel 2008, per comprendere l’entità del fenomeno, uno degli evasori coinvolti nell’inchiesta aveva dichiarato redditi per 17 mila euro e intanto spediva in Cina quasi 2 milioni di euro.

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