Occupazione, la Sfida del 2016. Per ripartire bisogna condividere

by Tommaso Rossi on 20 Gennaio 2016

Intervista di Monica Pieraccini – giornalista de La Nazione –  a Lapo Cecconi , presidente di reteSviluppo.

Un 2016 di ripresa, ma importante è non abbassare la guardia sul tema lavoro. Secondo Lapo Cecconi, fondatore e presidente di reteSviluppo, società di consulenza che si occupa principalmente di studi economici, sociali e statistici, c’è ancora molto da fare su questo fronte.

Quale quadro in provincia di Firenze?

Ci sono ancora molte ombre. Dal 2009 al 2014 la disoccupazione è cresciuta del 67%. Il lavoro è ancora il problema dei problemi, al quale credo debba dedicare ogni sforzo possibile non solo il governo, ma anche la Regione e le altre istituzioni. Non conforta nemmeno il dato sulla disoccupazione giovanile, che è ad un livello ancora molto alto, dal 34-35%.

Che si può fare?

Innanzi tutto puntare sulla formazione, il lavoro di una volta non c’è più e manca a mio avviso una formazione adatta ai giovani. Bene l’alternanza scuola – lavoro, ma occorre fare di più. Serve creare un percorso vero di avvicinamento delle nuove leve alle aziende più innovative e dinamiche, perché i giovani possano davvero imparare qualcosa per poi essere in grado di affrontare la giungla del mercato del lavoro.

Le parole del 2016. Lavoro, poi?

Condivisione e dati.

Ci spieghi meglio…

La crisi ha costretto le persone a trovare delle soluzioni. Meno soldi e bisogni crescenti hanno portato ad abbandonare l’individualismo sfrenato e ad aprirsi agli altri. Grazie anche alla tecnologia, le persone si sono organizzate condividendo spazi e servizi. Così è nata ad esempio la badante di condominio oppure gli spazi di coworking, due facce della stessa medaglia. Premettono di abbattere i costi e rispondere ad una maggiore efficienza. Credo che anche nel 2016 s svilupperanno ancora di più queste forme di condivisione, creando un nuove opportunità di lavoro.

Per quanto riguarda invece i dati?

Il flusso costante di dati è l’oro del 21 secolo. Se le informazioni che continuamente produciamo tramite smartphone e i portatili vengono studiate, monitorate e trasportate in comportamenti e politiche pubbliche più mirate possono davvero rappresentare una rivoluzione, possono essere un fattore esplosivo creando anche in questo caso nuovi posti di lavoro.

Informazioni che potrebbero essere utilizzate anche per migliorare la mobilità cittadina…

Certo. E infatti su questo mi sento di fare una critica all’amministrazione Nardella, che non ha evidentemente monitorato adeguatamente il flusso di informazioni visti i disagi creati dai cantieri della tramvia. Sarebbe stato opportuno mettere a punto anche un piano integrato sulla mobilità di area vasta. Assurdo, ad esempio, che non si sia pensato prima di fare arrivare la tramvia a Campi e a Bagno a Ripoli. Siamo o non siamo una città metropolitana?

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Uscire dal tunnel in tre parole 

by Tommaso Rossi on 13 Agosto 2015

Un prima la buona notizia: ci siamo, il tunnel è finito. A fine 2015 il Pil della Toscana potrebbe aumentare fino all’1,2%. Lo certifica il rapporto Irpet-Unioncamere sullo stato di salute dell’economia regionale. Uno virgola due percento, dicevamo. Sembra poco? Lo è.

Ma se messo a paragone con la crescita zero registrata l’anno scorso, assomiglia ad un numero a tre cifre. Bene anche la partita esportazioni. Il «tosco-export» ha battuto l’Italia 4 a 0, aumentando tra il 2008 e il 2014 del 25,4%, il quadruplo della crescita registrata nello stesso periodo in tutto lo Stivale.

Ora la cattiva notizia. I disoccupati nella nostra regione restano 170mila, il doppio rispetto al 2008 quando quel tunnel chiamato Crisi lo infilammo in buona compagnia di tutta l’Eurozona. La morale: siamo avanzati di un metro ma il traguardo è lontano chilometri.

Per proseguire spediti serve una rivoluzione mentale: cominciare a vedere la Toscana come un ecosistema produttivo, politico e socio-economico dove tutti gli attori giocano la stessa partita. Quella della ripresa e della ricerca di una nuova coesione sociale, dove le imprese, soprattutto quelle che innovano, si aggregano, conquistano nuovi mercati e investono in ricerca e sviluppo.

Tre parole ci separano da questo traguardo: Cooperazione, Innovazione e Trasparenza. Le lega lo stesso filo. Cooperazione, lo ripeto, per spingere le nostre PMI dal locale al globale, tramite una nuova cultura di impresa e modelli di business alternativi come i contratti di rete. «Cartelli» virtuosi di aziende in grado di collaborare a progetti e obiettivi condivisi per dare gambe a quell’Innovazione in grado di spalancare la porta ai mercati esteri.

In questa direzione  l’innovazione, però, deve riguardare anche tutta la politica dei servizi alle imprese, portate avanti oggi da una miriade di soggetti che spaziano dal pubblico al privato, dalle associazioni di categoria ai professionisti.  Per il nostro ecosistema dovranno essere servizi sempre   alla crescita delle nostre aziende, all’acquisizione di vera formazione specilizzata e sempre più costruiti intorno all’azienda.  In poche parole, se l’azienda cresce è perché c’è una squadra a supporto e non solo perchì il titolare è illumnato.

Siamo alla Trasparenza (che al contrario si legge Merito). La Regione può premiare e incentivare questo meccanismo con una governance che destini risorse su base produttiva e non assistenziale, premiando le idee innovative che magari restano murate dentro un piccola impresa a conduzione familiare o una start-up nata ma già sul viale del tramonto.

Ecco, se da domani, questo diventasse reale, avremmo appena inventato un piccolo ecosistema. L’esatto opposto della selezione darwiniana con cui la crisi ha selezionato i soggetti più forti e ucciso il resto. Un ecosistema dove ogni stakeholder, ogni corpo intermedio o soggetto politico gioca nella stessa squadra, avendo però preso insegnamento da questa crisi e rinnovando concretamente i propri ruoli. Basta illusioni o mantra consolatori, è il momento di brillare. Insieme.

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OPEN DATA – La grande rivoluzione

by Tommaso Rossi on 22 Marzo 2015

Prendiamo tutti gli abitanti di Firenze. Immaginiamo di poter disporre liberamente dei dati relativi alla loro biografia sanitaria: quante radiografie o ecografie hanno effettuato in un mese. Quanto hanno speso. Quanto è stata lunga la loro attesa in ogni ospedale per ogni singola cura. Poi liberare questi dati online (ovviamente rispettando la privacy). Mettere il cittadino nella condizione di potersi orientare nella struttura più adatta alle proprie esigenze e il sistema sanitario di intervenire dove c’è maggiore bisogno, in modo chirurgico.

Oppure immaginiamo di conoscere in diretta quanti operai sono coinvolti nei cantieri della tramvia. Quali sono i tempi di avanzamento e poter confrontare l’opera con i progetti di Nizza o di Strasburgo. In una parola open data. Ogni ente locale mette a disposizione il suo patrimonio informativo e lo restituisce alla comunità. Il risultato: un’istantanea dell’effetto delle politiche sul territorio.

Immaginiamo. Perché oggi, purtroppo non è (ancora) così. La colpa è di quella trasparenza che manca. Oppure di valanghe di numeri gettati in Rete e travestiti da trasparenza. Le Pa troppo spesso rovesciano sul web il contenuto dei propri cassetti, lasciando al cittadino il compito di fare ordine e mettere insieme le tessere del puzzle.

Al CNR di Pisa a marzo è stato presentato il progetto ODINet. Cos’è? Un «Google dei dati», una piattaforma che aggrega e rende accessibili i miliardi di dati pubblicati ogni giorno in Rete da imprese e Pa. Nel team di ricerca che lo ha progettato e ideato c’è anche reteSviluppo, unica azienda fiorentina ad aver dato il proprio contributo a questo strumento.

Nel 2015 il numero dei file aperti pubblicati online dagli enti pubblici è arrivato a quota 14mila. Un oceano, pieno di informazioni sporadiche e spesso non aggiornate. Il rischio è che il cittadino ci anneghi dentro. Serve un faro: l’azione di filtraggio e indirizzamento svolto dall’amministrazione.

Le elezioni regionali sono dietro l’angolo. L’obiettivo deve essere una rivoluzione. Di quelle vere. Fra le priorità della nuova Toscana che uscirà dal voto dovrà essere predicata e messa in pratica la religione civile della trasparenza. Non basta rendere accessibili i dati. Serve un’azione di narrazione, indirizzo e guida in un mare magnum dove oggi siamo tutti pescatori solitari.

Perché un cittadino informato è un cittadino sovrano e partecipe. La posta in palio è troppo alta per sbagliare. Open data significa: ospedali più efficienti, inquinamento sotto controllo, politica più trasparente. E un potere di controllo in chiave anticorruzione. Grandi Opere incluse.

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