TikTok ruba il tempo (e il sonno) agli adolescenti fiorentini.

by Stefano Ciapini on 13 Marzo 2023

Quasi il 70% dei ragazzi e delle ragazze non si accorge del tempo che passa su TikTok e lo usa fino a tarda notte.
Su 436 liceali di Firenze che hanno risposto al sondaggio, il 37,15% dichiara che gli è capitato spesso di passare del tempo su TikTok fino a tarda notte senza accorgersi del trascorrere del tempo.
A questi si aggiunge un 31,19% di studenti e studentesse che hanno addirittura dichiarato che ciò capita “sempre”. Al 18,80% è capitato raramente e solo al 12,84% degli studenti e delle studentesse non è capitato mai.

Di fronte a questi dati non può che emergere una certa preoccupazione. Come porre un argine alla diffusione di un comportamento sicuramente nocivo per la salute e il benessere degli adolescenti? Il divieto di utilizzo è davvero l’unica strada percorribile?
È possibile pensare percorsi di educazione digitale che ci rendano consumatori consapevoli in grado di essere protagonisti del proprio tempo e non schiavi di un algoritmo?
Secondo la dott.ssa Ester Macrì, sociologa e presidente di ReteSviluppo: “TikTok è costruito ad arte per tenerci incollati ore e ore, e questo capita anche a noi adulti. Il dialogo all’interno della scuola e la formazione di docenti, educatori e degli stessi ragazzi è fondamentale per fornire prime risposte a questo preoccupante trend. Occorre incentivare percorsi che stimolino gli adolescenti a riflettere da protagonisti sull’uso che fanno delle piattaforme digitali.”

ReteSviluppo s.c.
Centro di ricerca su digitale e media education
info@retesviluppo.it
Dott.ssa Ester Macrì 3332581974 ester@retesviluppo.it

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ReteSviluppo al convegno dell’Ordine dei Medici: presentata la ricerca “La messaggistica istantanea nell’esercizio della professione medica”

by Stefano Ciapini on 27 Febbraio 2023

Sabato 18 Febbraio 2023 Lapo Cecconi e Ester Macrì di ReteSviluppo hanno presentato la ricerca “La Messaggistica Istantanea nell’esercizio della Professione Medica” all’interno di una mattinata di confronto organizzata dall’Ordine dei Medici di Firenze.

Durante tutto il 2022 ReteSviluppo ha effettuato un’indagine online che ha coinvolto oltre 1500 professionisti dell’Ordine dei Medici di Firenze.

I risultati riportati sono assolutamente significativi e evidenziano la grande portata della messaggistica istantanea nell’esercizio della professione medica. Per riportare alcuni dei dati più significativi:

  • 8 medici su 10 hanno contatti con gli assistiti tramite smartphone
  • a seguito della pandemia 1 professionista su 2 comunica con i pazienti via WhatsApp
  • WhatsApp è l’app di comunicazione in assoluto più utilizzata (84,3%)
  • nello specifico WhatsApp viene usata per comunicare con i pazienti (53,9%), per fissare appuntamenti (39,8%), per inviare prescrizioni (20,7%), per valutare esami e dare consigli terapeutici ai pazienti (42%), per scambiare informazioni cliniche dei pazienti con i colleghi (56,1%)
  • la messaggistica istantanea risulta essere invasiva nella privacy e nella sfera privata di un medico

A concludere la mattinata le parole del presidente dell’Ordine Dattolo: “La messaggistica tramite cellulare permette di dare in tanti casi risposte rapide e tempestive ai pazienti, sciogliendo dubbi e timori, andando incontro alle esigenze più varie. È importante tuttavia non perdere di vista il confronto umano, di persona, che resta il centro di questa professione. Occorre anche porre attenzione al tema della privacy e restare aggiornati sulle nuove opportunità di comunicazione che si presenteranno nei prossimi anni per essere sempre al fianco della popolazione e nei loro bisogni di cura”.

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Progetto Youngle per Good Gamer Toscana | 4 febbraio, Livorno

by Stefano Ciapini on 24 Febbraio 2023

Sabato 4 Febbraio si è svolto a Livorno l’incontro di formazione per i peer del nuovo centro Youngle Games Livorno, finanziato da Anci Toscana e Regione Toscana nell’ambito del progetto Good Gamer Toscana.

La formazione si è basata sull’esperienza dei Peer Senior di Siena: 4 ragazzi tra i 16 e i 19 anni che tutte le settimane mettono a disposizione il loro tempo e le loro capacità per aiutare altri ragazzi in difficoltà.
Come? Tutti i ragazzi che ne avranno bisogno possono chattare in modo anonimo, sicuro e gratuito sulla App di Youngle ed avere così uno spazio in cui esprimere dubbi, paure, desideri, difficoltà e molto altro.

Dall’altra parte della chat ci troverete sempre dei ragazzi che sono lì proprio per ascoltare e accogliere chiunque abbia voglia di aprirsi con loro. Ci sono anche degli psicologi sempre a disposizione gratuitamente per chiunque ne avesse bisogno!

Il motto dei nostri Peer di Siena è: “Nella giungla della adolescenza, una liana per la sopravvivenza”.
Le parole d’ordine di questa giornata e di questo progetto sono: accoglienza, ascolto, assenza di giudizio, parità e condivisione. Se anche tu vuoi far parte di questo progetto o se sei interessato al servizio che esso svolge scarica l’App Youngle (Play storeApp store) o visita il profilo Instagram di Youngle della tua città.

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“Zitto e ascolta!” – La Peer Education e il nuovo ruolo dell’insegnante.

by Stefano Ciapini on 11 Maggio 2022

Nel preferire l’attività di peer alla lezione frontale il compito del docente rimane fondamentale sotto più punti di vista. E non si tratta solo di un ruolo di controllo dell’ordine della classe e di punizione in caso di comportamenti scorretti, c’è molto di più.

Il docente non più centrale, ma comunque fondamentale.

Non lo si vuole negare: nella meccaniche di peer education l’insegnante non sale in cattedra, non è più il sole attorno a cui gravitano i ragazzi, ma questo non deve ormai sorprendere. Come si diceva, tuttavia, il docente rimane una guida per i ragazzi e le ragazze, pur secondo modalità e schemi diversi.
Va sottolineato che gli alunni che si accingono a svolgere un’attività di peer education avranno sempre come punto di riferimento l’adulto, tali attività non sono infatti un “liberi tutti!”, non equivalgono assolutamente ad una ricreazione.
È in questa fase iniziale che il docente dovrà guidare i componenti della classe a capire la differenza tra ciò che si sta per svolgere e una qualsiasi altra attività ricreativa: la peer education trasferisce responsabilità e capacità d’azione nelle mani degli alunni, e questa trasmissione dev’essere ben compresa: sarà compito dell’insegnante far passare questi concetti e avere un occhio vigile affinché questo spirito permanga durante tutta l’attività.

Insegnante e alunno sullo stesso livello.

È vero che l’aspetto cattedratico viene a perdersi quando si sceglie di intraprendere un percorso all’insegna della peer education. Il concetto base è infatti che una nozione, un’informazione o una skill trasmessa sono recepite in maniera più efficace se a “lanciarle” non è l’adulto, il docente, bensì il compagno di classe.
È proprio questo ambiente protetto che viene a crearsi che permette agli alunni di esprimersi con una libertà non indifferente, una libertà che è anticamera dello sviluppo di responsabilità e riflessione in merito alle conseguenze delle proprie azioni. Ragazzi più ricettivi si trasformano alunni con un bagaglio di conoscenze e esperienze messe a frutto con maggior soddisfazione e con un risultato finale potenzialmente più elevato.
Affinché la presenza dell’insegnante non risulti ingombrante in questo piccolo ambiente protetto che viene a crearsi in classe, questi dovrà compiere l’importante sforzo di mettersi al pari dei ragazzi durante le attività, pur non abbandonando quell'”occhio vigile” di cui sopra.
Lo sforzo non è indifferente, anzi: implica dismettere dei panni ipoteticamente indossati fino a quel momento, ma il risultato sarà davvero soddisfacente anche per l’insegnante stesso. Per arrivare a questo è necessario però un percorso di formazione specifico!

Il ruolo dell’insegnante nel creare le giuste condizioni per l’attività.

Il docente deve avere più livelli di sensibilità e, come già introdotto all’inizio dell’articolo, è su di esso che ricade la responsabilità del buon avvio delle attività.
In questo frangente la conoscenza degli alunni è fondamentale, perché la peer education, di primo acchito, può risultare un approccio non troppo confortevole per tutti. È da mettere in conto che molte persone coinvolte (in realtà lo stesso insegnante, pertanto figuriamoci i ragazzi!) abbiano da uscire dalla propria comfort zone, ed ecco che il ruolo dell’adulto torna nevralgico: niente deve risultare come qualcosa di imposto e calato dall’alto, la bontà di questo genere di pratiche risiede anche nella capacità dell’educatore di far “uscire fuori” spontaneamente i ragazzi. Per creare queste condizioni è necessario sapere su quali leve fare forza, sapendo chi a livello individuale è per propria indole più ricettivo e reattivo, e chi invece ha bisogno di una spinta più dolce.
La creazione di questo ambiente è di grande importanza anche e soprattutto per queste persone più timide e in difficoltà nell’esporsi di fronte agli altri, ed è in questa fase che si scrive il destino dell’attività di peer education. Avrà successo fra i ragazzi? Funzionerà? Dipende molto da questa preparazione: è anche l’insegnante ad avere in mano il buon esito dell’esperienza!

In conclusione: l’insegnante non può mancare!

La figura dell’adulto rimane molto importante nelle attività di peer education, sempre considerando che, come ci sono delle cose in capo al docente, ci sono altre abilità che possiedono solo i ragazzi e di cui i “grandi” non possono proprio disporre. Però attenzione: il ruolo dell’insegnante non deve essere invasivo… ma non deve nemmeno sparire!

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ReteSviluppo nelle scuole all’insegna della Digital Transformation

by Stefano Ciapini on 7 Aprile 2022

Il mondo e la società oggi cambiano i propri sistemi di riferimento ad una velocità molto elevata.
I rapporti tra esseri umani si conformano secondo modalità in continua evoluzione e così i giovani e i giovanissimi configurano dinamiche interpersonali talvolta anche del tutto estranee a ciò a cui le generazioni precedenti erano abituate.
Questo ha importanti risvolti nell’ambito educativo e formativo, dove si palesa la necessità di instaurare una connessione con ragazzi e ragazze secondo dinamiche nuove o comunque di recente ideazione.

Il mondo post pandemia: un’accelerata alla trasformazione digitale.

Non è un caso che queste considerazioni vengano fatte a seguito della pandemia globale che ci ha tenuti di fronte a uno schermo per più di due anni: il sistema educativo si è trovato di punto in bianco in balia di strumenti di comunicazione rispetto a cui, spesso, mancava anche l’alfabetizzazione.
È in quel periodo che come ReteSviluppo ci siamo mossi per offrire un supporto a docenti, genitori e studenti, ed è da lì che poi si è approfondita la necessità da parte degli istituti scolastici di scoprire metodi innovativi di formazione ed educazione, per esempio nell’ambito dei social, o attraverso tecniche di gamification, o ancora per mezzo di attività di peer education.

Imparare e riflettere attraverso l’interattività e il linguaggio innovativo.

C’è un fattore comune tra tutte le attività messe in campo sia presso la scuola media che le superiori, ovvero l’interattività: il coinvolgimento in prima persona di studenti e studentesse permette di imbastire un percorso che pone i ragazzi al centro, sentendosi così parte attiva di un processo di formazione coinvolgente e stimolante.
Lo si fa, come dicevamo, sfruttando linguaggi propri di preadolescenti e adolescenti.
Si prenda il caso della gamification, ovvero l’uso di tecniche mutuate dai giochi e dai videogame, e che approfondiremo in un prossimo articolo: in questo caso è evidente l’approccio che punta a parlare la lingua dello studente.
Oppure si pensi, riferendoci in particolare ai percorsi attuati nelle secondarie di secondo grado, alla peer education: anche in questo caso lo studente diviene parte attiva del percorso, stavolta con un metodo responsabilizzante e volto alla cooperazione.

Un percorso in continua evoluzione.

Concludendo, l’attività di ReteSviluppo nelle scuole, di cui oggi abbiamo dato un’infarinatura con la chiave di lettura della Digital Transformation, continua e si evolve all’insegna della partecipazione e dell’innovazione. Presto approfondiremo nel dettaglio le tante attività messe in campo!

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Stefano CiapiniReteSviluppo nelle scuole all’insegna della Digital Transformation

Democrazia partecipativa: nuova linfa per la dimensione pubblica delle decisioni

by Tommaso Rossi on 8 Marzo 2016

I cambiamenti cui sembrano andare incontro negli ultimi anni le democrazie moderne, in modo particolare la perdita di centralità delle forme di rappresentanza e di partecipazione, hanno finito inesorabilmente con il far emergere nuove idee di riforma della pratica democratica come il concetto di democrazia partecipativa. Un orientamento da cui hanno preso avvio approfondimenti ed approcci teorici ampi ed articolati ma anche diffuse e diversificate pratiche “partecipative”.

In letteratura vi è anche una ampia discussione riguardo al significato di democrazia partecipativa così come alla distinzione terminologica rispetto all’espressione democrazia deliberativa . Non è tuttavia obiettivo di questo articolo approfondire le differenze terminologiche tra le due espressioni quanto sottolineare soprattutto l’emergere di una nuova e per certi versi intermedia forma di democrazia tra quella rappresentativa e quella diretta che definiamo per semplicità in questo articolo partecipativa.

Per democrazia partecipativa si intende un modello in cui la partecipazione è assunta quale metodo di governo della cosa pubblica, in base a criteri di inclusione, collaborazione e stabilità del confronto fra istituzioni e società civile: in particolare essa si configura come un’interazione entro procedure pubbliche (amministrative, normative, di controllo) fra società e istituzioni, che mira, mediante forme collaborative di gestione dei conflitti, a produrre di volta in volta un risultato unitario in funzione del miglior perseguimento dell’interesse generale.

Secondo Umberto Allegretti, nella democrazia partecipativa le persone sono presenti come singoli e attraverso associazioni, e agiscono autonomamente nell’istruttoria, nella consultazione e nella stessa decisione in seno però a procedure istituzionali riconosciute: “cittadini comuni” che intervengono attraverso autocandidatura o su chiamata attraverso sorteggio o con altre modalità imparziali scelte dall’istituzione che conduce il processo.

Solitamente i cittadini definiscono delle raccomandazioni ma è l’istituzione ad assumere la vera e propria decisione finale. Per Allegretti pertanto la democrazia partecipativa implicherebbe un ruolo importante da parte delle istituzioni che non perderebbero il loro ruolo decisorio ma che rimarrebbero al contrario centrali all’interno del processo. Dall’altra parte i cittadini agirebbero come legittimi protagonisti, autonomi e capaci di influenzare la decisione; non si tratterebbe delle classiche procedure della democrazia diretta o delle esperienze di autogestione in cui da soli i cittadini decidono in merito ad una specifica tematica. Si assisterebbe pertanto ad una situazione in cui, all’interno di una procedura organizzata, le due componenti (cittadini ed istituzione) sarebbero reciprocamente riconosciuti.

Nonostante le potenzialità della democrazia partecipativa, altrettanto, diffuse sono le perplessità dovute anche al fatto che, in diverse occasioni, sono state nutrite attese che poi hanno avuto difficoltà ad essere realizzate concretamente. È opportuno pertanto interrogarsi tanto sui punti di forza che sui punti di debolezza di tale approccio e delle esperienze realizzate, in modo da alimentare le opportunità di cambiamento offerte da questo nuovo orientamento che sembra in grado di garantire nuova linfa alla dimensione pubblica delle decisioni. In un periodo in cui la politica e gli organi di rappresentanza sembrano aver perso il loro ruolo storico, queste nuove forme di partecipazione potrebbero infatti garantire una rinnovata partecipazione collettiva con forme e modalità nuove.

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Tommaso RossiDemocrazia partecipativa: nuova linfa per la dimensione pubblica delle decisioni

L’ascolto attivo nei processi partecipativi

by Tommaso Rossi on 4 Gennaio 2016

Far partecipare non significa soltanto promuovere un processo partecipativo ma significa anche utilizzare e sviluppare metodologie inclusive adeguate al coinvolgimento dei cittadini.

Tra queste abbiamo deciso di parlare in questo articolo dell’”ascolto attivo”, una metodologia teorizzata in Italia da Marianella Sclavi, docente di etnografia urbana presso il Politecnico di Milano, nel suo libro “Arte di ascoltare e mondi possibili”.

Secondo Sclavi, l’ascolto per essere “attivo” deve avere a che fare con le dinamiche dell’umorismo e delle emozioni: deve essere aperto e rivolto non solo verso l’altro, ma anche verso se stessi, per ascoltare le proprie emozioni, per essere consapevoli dei limiti del proprio punto di vista.

L’ascolto attivo parte dal presupposto che, nell’interazione, vi sono “archi di possibilità” che diamo per scontati e dei quali non siamo consapevoli all’interno dei quali si inscrivono i nostri comportamenti. Essere consapevoli di queste “cornici”, di cui siamo parte e che condizionano il nostro modo di vedere e di agire, è un punto strategico dell’ascolto attivo.

Uno degli assunti fondamentali di questa metodologia è infatti il seguente: “Se vuoi comprendere quello che un altro sta dicendo, devi assumere che ha ragione e chiedergli di aiutarti a vedere le cose e gli eventi dalla sua prospettiva.” L’Ascolto Attivo significa passare dalla contrapposizione “giusto-sbagliato”, “io ho ragione-tu hai torto”, “amico-nemico” ad una situazione in cui ci si pone nella condizione di capire l’interlocutore. Questa metodologia ribalta l’approccio tradizionale del buon osservatore che dovrebbe essere passivo, neutrale; propone al contrario la necessità di abbandonare un approccio razionale nel quale le emozioni sono considerate come disturbatrici della conoscenza e di sposare al contrario un atteggiamento attivo, aperto al dialogo, disposto a mettere in discussione le proprie certezze, attento agli interessi in gioco invece che alle posizioni, dando molta importanza alle percezioni soggettive dell’altro.

Le basi teoriche di questo approccio sono state delineate da studiosi che sostengono la priorità dell’ascolto in un paradigma dialogico (Bachtin, Bube, Heidegger) e dai teorici dei sistemi complessi (Ashby, Bateson, Emery e Trist, Kurt Lewin, Von Foerster).

L’ascolto attivo è sicuramente un approccio complesso ma fondamentale per avviare processi inclusivi che non si limita a registrare opinioni o punti di vista dei cittadini o degli stakeholder ma a creare un vero e proprio dialogo cercando di capire ciò che essi cercano di esprimere.

Vi sono una pluralità di tecniche di ascolto attivo: l’outreach, letteralmente “raggiungere fuori”, ovvero andare a consultare le persone piuttosto che aspettare che queste lo facciano spontaneamente (distribuzione materiale informativo a casa o presso i centri di aggregazione, articoli sui giornali o spot informativi, interventi informativi e di sensibilizzazione all’interno di gruppi specifici ecc..); “l’animazione territoriale” ovvero promuovere la sensibilizzazione e la partecipazione degli attori locali intorno a dei problemi comuni raccogliendo delle informazioni quantitative e qualitative; organizzare “camminata di quartiere” ovvero passeggiate per il quartiere con le persone interessate (piccoli gruppi di cittadini, professionisti, tecnici, funzionari); aprire “punti o sportelli” informativi sul territorio; riunire piccoli gruppi per mettere a fuoco o analizzare un argomento (“focus group”) o per trovare soluzioni creative ai problemi (“brainstorming”, letteralmente “tempesta di cervelli”). L’importante è dare rilevanza alla fase d’ascolto soprattutto nella fasi preliminari di un percorso partecipativo, quando si tratta di avviare un processo, individuare gli attori e le tematiche su cui concentrarsi.

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Tommaso RossiL’ascolto attivo nei processi partecipativi

La partecipazione dei cittadini attraverso il bilancio partecipativo

by Tommaso Rossi on 8 Ottobre 2015

Contoanchio: l’esperienza del Comune di Campi Bisenzio

La partecipazione dei cittadini quale possibilità di influire sulle scelte di un’amministrazione pubblica ha visto negli ultimi anni una diffusione sempre maggiore tanto che, parallelamente ad istituti già previsti ed utilizzati quali i referendum, le consultazioni o le petizioni, sono prolificate le esperienze di percorsi partecipativi. Esperienze eterogenee che hanno un minimo comun denominatore quale quello di avviare forme innovative di coinvolgimento dei cittadini di fianco alle classiche forme di coinvolgimento della democrazia rappresentativa: forme strutturate di ascolto e di dialogo per ricostruire un rapporto di fiducia con le istituzioni, per ricostruire la coesione sociale, per programmare ed essere più vicini possibile alle esigenze delle persone. Un approccio quello partecipativo fondato sull’ascolto, sull’inclusione, sull’interazione, sulla creazione di piccoli gruppi di discussione coordinati da facilitatori per giungere all’elaborazione dal basso di proposte fatte dalla cittadinanza.

Tra le varie forme innovative di coinvolgimento dei cittadini vi è sicuramente quella del bilancio partecipativo in quanto in grado di promuovere il coinvolgimento su uno dei documenti più importanti sui quali l’amministrazione è chiamata a decidere: il bilancio comunale. Il bilancio partecipativo è una forma di partecipazione diretta dei cittadini alla vita della propria città attraverso il quale si consente loro di avere un ruolo attivo nello sviluppo e nella elaborazione delle politiche comunali. Nel bilancio partecipativo, la popolazione è invitata a stabilire delle priorità in vari campi o settori in merito a come investire una determinata somma economica messa a disposizione dall’amministrazione comunale.

A partire dagli anni ’90, molte amministrazioni hanno promosso esperienze di questo tipo. Tra queste il Comune di Campi Bisenzio ha deciso di intraprendere nel 2015 Contoanchio, la prima esperienza di bilancio partecipativo per questa amministrazione comunale.

Vediamo da vicino questa positiva esperienza coordinata dalla società reteSviluppo. L’amministrazione ha suddiviso il territorio in tre zone. Il primo bilancio partecipativo è stato dedicato ad una zona specifica (Sant’Angelo, San Piero a Ponti, San Cresci, San Donnino). Il Comune ha messo a disposizione 200mila euro. L’oggetto del processo partecipativo sono state le tematiche relative a: scuole (manutenzione straordinaria); viabilità (illuminazione pubblica, marciapiedi, piccoli manti stradali); verde urbano (arredo urbano, attrezzature  ludiche, sistemazione e manutenzione straordinaria dei percorsi pedonali). Hanno partecipato i cittadini facenti parte di un campione rappresentativo sotto il profilo demografico e sociale e quelli che si sono autocandidati. Il percorso è stato caratterizzato da incontri pubblici di presentazione, di discussione e di restituzione dei progetti elaborati dai cittadini. I partecipanti hanno avuto la possibilità di chiedere incontri con tecnici ed esperti per avere maggiori informazioni ed approfondimenti. I cittadini sono stati messi a conoscenza ed hanno analizzato il bilancio ed il rendiconto delle attività dell’amministrazione, hanno formulato idee progettuali che gli uffici comunali hanno analizzato esprimendo per ciascuna un giudizio di fattibilità. I progetti elaborati dai partecipanti sono stati poi messi in votazione (hanno potuto votare i cittadini residenti di almeno 16 anni di età). È stata prevista una somma massima per intervento di 40mila euro.

L’esperienza di Campi Bisenzio può essere considerata a tutti gli effetti una buona pratica considerato il numero dei partecipanti (128) e soprattutto il numero dei votanti (1022) su un totale di circa 15 mila abitanti. Sono stati finanziati complessivamente 8 progetti elaborati dai cittadini. L’esperienza verrà ripetuta anche nel 2016 e nel 2017 coinvolgendo le zone rimanenti.

L’utilizzo di questo strumento si è dimostrato strategico soprattutto in questa fase storica caratterizzata da scarsità di risorse pubbliche, in cui si corre il rischio di generare una profonda divaricazione tra il principio del consenso e la capacità dell’amministrazione pubblica di rispondere ai reali bisogni della comunità. Allo stesso tempo, anche al fine di un consenso, l’amministrazione ha sentito la necessità di allargare al maggior numero possibile di attori la scelta delle priorità a livello locale. La partecipazione dei cittadini al governo della città, pertanto, è risultata necessaria a rispondere, in modo più efficace, ai bisogni della comunità locale in un’ottica di responsabilizzazione e coinvolgimento diretto dei cittadini.

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Tommaso RossiLa partecipazione dei cittadini attraverso il bilancio partecipativo

Percorso partecipativo “Centrale idroelettrica di Camaioni”, Comune di Carmignano

by Tommaso Rossi on 17 Marzo 2015

Nel Comune di Carmignano (PO), ReteSviluppo sta seguendo il percorso partecipativo legato alla realizzazione della mini-centrale idroelettrica sul fiume Arno, nella frazione di Camaioni.

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Il progetto costituisce il primo esempio di percorso partecipativo strutturato per il Comune di Carmignano. Il processo mette al centro la tematica delle energie rinnovabili prendendo come punto di riferimento il progetto di realizzazione di una centrale idroelettrica in località Camaioni. I partecipanti esprimeranno le proprie opinioni, idee e suggerimenti in merito allo specifico intervento, all’utilizzo delle misure di compensazione e più in generale sulle possibilità di sviluppo sostenibile per il territorio. Il processo vuole avviare una discussione informata per fornire una corretta conoscenza del progetto, approfondire le ricadute di tale intervento sul territorio e valutare i possibili scenari che si verrebbero a creare, individuare le opere di compensazione da realizzare, raccogliere idee e proposte in ambito di energie rinnovabili, sviluppo sostenibile, efficienza energetica.

Il percorso prevede assemblee pubbliche, incontri con esperti e tecnici, momenti partecipativi, ascolto di proposte da parte di cittadini e associazioni, una fase di restituzione delle idee progettuali emerse. Oltre ai cittadini autocandidati che decideranno di prendere parte al percorso, verrà coinvolto anche un campione rappresentativo sotto il profilo sociale, demografico e territoriale. Al percorso prenderanno parte esperti in ambito di ambiente, sviluppo sostenibile, energie rinnovabili, green economy, impianti idroelettrici.

Maggiori informazioni sulla pagina Open Toscana: http://open.toscana.it/web/centrale-idroelettrica-camaioni

Facebook: www.facebook.com/centraleCamaioni?fref=ts

Twitter: www.twitter.com/centralecamaion

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Tommaso RossiPercorso partecipativo “Centrale idroelettrica di Camaioni”, Comune di Carmignano

Intervista a Claudia Fiaschi, Presidente di ACI Toscana

by Tommaso Rossi on 27 Novembre 2013

 Intervista al Presidente ACI Toscana sul metodo partecipativo: “Quello che è venuto fuori oggi ci dà degli strumenti di programmazione importanti per il futuro!”

Martedì 26 novembre si è svolto il primo incontro del comitato esecutivo dell’Alleanza delle cooperative italiane Toscana.

La giornata è stata interamente organizzata da ReteSviluppo insieme a Lama, attraverso un processo partecipativo caratterizzato dal dialogo, dall’interazione e dallo scambio di vedute su due temi scelti (quello della promozione alla cooperazione e quello dei mercati emergenti) che ha fatto emergere delle linee politiche comuni per il futuro della nuova rappresentanza della cooperazione in Toscana. Vediamo qual è stata l’opinione del presidente Claudia Fiaschi, che gentilmente ha risposto alle nostre domande.

Ha trovato utile o costruttivo un metodo di lavoro che prevede l’interazione e la partecipazione attiva di tutti i presenti, piuttosto che un’assemblea classica con interventi singoli?

Sì, questo gruppo ha bisogno di affinare le sensibilità e di armonizzare i linguaggi, di individuare degli obiettivi comuni; questo metodo mi sembra funzionale allo scopo e siamo contenti di averlo utilizzato in questa prima assemblea dell’esecutivo.

Dunque un modo per conoscersi meglio all’interno di ACI?

Sì, sicuramente sappiamo che le tre esperienze hanno delle matrici culturali diverse, linguaggi, esperienze che sono il retroterra da cui veniamo, il punto di partenza comune che si costruisce armonizzando i pensieri con il lavoro “gomito a gomito”.

Potrebbe diventare un metodo di lavoro continuativo da riproporre in altre occasioni?

È stata una prima sperimentazione. Io credo molto ai modelli partecipativi, ovviamente non sono da sola, quindi saranno importanti per il futuro le valutazioni di chi ha partecipato oggi, vediamo se riterranno che questo strumento ci aiuterà a disegnare il nostro futuro in maniera più rapida ed efficacie, soprattutto meno pesante. Se è così perché no?

Ha delle sue proposte sul metodo? Sulla durata ad esempio? Ci potrebbe dare alcune sue considerazioni personali.

Sicuramente avremmo avuto bisogno di più tempo, di qualche pausa in più; però sapevamo che oggi era una giornata con queste caratteristiche. Possiamo lavorare sull’affinamento delle domande; sono cose che però progrediscono nel tempo. Ma già quello che è venuto fuori oggi ci dà degli strumenti di programmazione importanti, almeno per quello che ho potuto vedere fino ad oggi.

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Tommaso RossiIntervista a Claudia Fiaschi, Presidente di ACI Toscana