ReteSviluppo formatore a “Le regole del gioco”

by Stefano Ciapini on 17 Maggio 2023

ReteSviluppo ha partecipato come formatore a “Le regole del gioco”!, incontri di formazione e esperienze a confronto su social media, videogiochi e adolescenza. 

Un progetto promosso da Regione Emilia Romagna che ha scelto di introdurre lo scorso anno, approfondimenti sui diversi interventi che si possono realizzare per prevenire e contrastare forme di disagio di diversa entità, avvalendosi dei mezzi tecnologici che consentono un contatto e una relazione a distanza.

Una serie di laboratori esperienziali che aiuteranno i professionisti a mettere in pratica quanto già conosciuto a livello teorico per imparare anche ad esplorare possibili attività con cui intercettare e coinvolgere in modo interattivo gli adolescenti.
Dal questionario somministrato nel 2022, rispetto a piste da seguire e tematiche da sviluppare, sono stati individuati tre ambiti di approfondimento:

  • Strumenti social e comunicazione efficace.
  • Videogiochi e utilizzo a fini educativi.
  • Elementi per una diagnosi differenziale: vita online versus addiction.

Gli obiettivi sono:

  1. Aumentare la conoscenza degli strumenti digitali e del possibile utilizzo educativo
  2. Migliorare le possibilità di interazione con adolescenti e giovani
  3. Incrementare la dotazione strumentale dei professionisti in materia di comunicazione, educazione e cura rispetto alle giovani generazioni

 Nel mese di Maggio 2023 Ester Macrì, presidente di ReteSviluppo, curerà e presenterà tre delle giornate formative dal titolo “Social: strumenti social – comunicazione efficace”

Lunedì 15 Maggio, a Bologna, si è tenuto il primo appuntamento.

3 i laboratori cui i professionisti hanno potuto sperimentare:

  1. Twitch, la nuova piattaforma 
  2. Instagram, come utilizzarlo al meglio
  3. Funzione educativa dei meme

Mercoledì 24 Maggio è previsto il nuovo appuntamento a Forlì con nuovi laboratori.

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Stefano CiapiniReteSviluppo formatore a “Le regole del gioco”

Incontro con i genitori dei ragazzi del progetto Good Gamer Toscana

by Stefano Ciapini on 14 Aprile 2023

L’evento si è tenuto alla scuola Ghiberti di Firenze e anche questa volta gli esperti di ReteSviluppo hanno presentato ai genitori il progetto e i risultati ottenuti dagli incontri che i figli hanno svolto a scuola durante le ore scolastiche.

Ester Macrì, Presidente di ReteSviluppo, e Gabriele Cannarozzo, formatore, hanno approfondito nello specifico la tematica della comunicazione dei giovani ragazzi sui social network.

In seguito i genitori stessi sono stati messi alla prova tramite un divertente gioco di simulazione per riflettere sui comportamenti dannosi da tenere in rete.

Molto interessanti sono stati i confronti tra gli esperti di ReteSviluppo e i genitori!

I nostri ragazzi sono in grado di comprendere i rischi della rete e dei videogiochi? Sono in grado di vivere in una vita che ormai è vissuta online?
Ma soprattutto, conoscono ancora la profondità delle emozioni? Queste sono solo alcune delle domande sulle quali gli esperti, i genitori e le insegnanti hanno potuto riflettere.

Un grande ringraziamento va a Good Gamer Toscana per aver curato e finanziato tale progetto che ha riscosso veramente molto successo lato alunni, lato insegnanti e lato genitori.

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Stefano CiapiniIncontro con i genitori dei ragazzi del progetto Good Gamer Toscana

Percorsi formativi sulle nuove tecnologie per adolescenti sempre più consapevoli: il contributo di Ester Macrì

by Stefano Ciapini on 13 Aprile 2023

Giovedì 6 aprile 2023 si è svolto il primo incontro dell’ultimo ciclo di Formazione online del progetto Good Gamer Toscana, dedicato a operatrici e operatori dell’area Toscana Centro! 

Ester Macrì, presidente di ReteSviluppo, è intervenuta in questo primo incontro offrendo un quadro delle nuove piattaforme digitali e il loro funzionamento, soffermandosi sull’importanza di un uso consapevole delle nuove tecnologie.

Ha offerto, inoltre, alcuni spunti su quelle che possono essere le potenzialità delle nuove piattaforme digitali specialmente in percorsi di prevenzione ed educazione indirizzati a adolescenti e preadolescenti.

Con gli strumenti giusti i ragazzi e le ragazze potranno, quindi, essere educati affinché diventino i protagonisti del buon uso delle nuove tecnologie. Attraverso percorsi educativi costruiti con il loro linguaggio e nei loro spazi potranno acquisire la consapevolezza e la capacità di divenire creatori attivi di contenuti digitali invece che meri fruitori passivi.

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Stefano CiapiniPercorsi formativi sulle nuove tecnologie per adolescenti sempre più consapevoli: il contributo di Ester Macrì

TikTok ruba il tempo (e il sonno) agli adolescenti fiorentini.

by Stefano Ciapini on 13 Marzo 2023

Quasi il 70% dei ragazzi e delle ragazze non si accorge del tempo che passa su TikTok e lo usa fino a tarda notte.
Su 436 liceali di Firenze che hanno risposto al sondaggio, il 37,15% dichiara che gli è capitato spesso di passare del tempo su TikTok fino a tarda notte senza accorgersi del trascorrere del tempo.
A questi si aggiunge un 31,19% di studenti e studentesse che hanno addirittura dichiarato che ciò capita “sempre”. Al 18,80% è capitato raramente e solo al 12,84% degli studenti e delle studentesse non è capitato mai.

Di fronte a questi dati non può che emergere una certa preoccupazione. Come porre un argine alla diffusione di un comportamento sicuramente nocivo per la salute e il benessere degli adolescenti? Il divieto di utilizzo è davvero l’unica strada percorribile?
È possibile pensare percorsi di educazione digitale che ci rendano consumatori consapevoli in grado di essere protagonisti del proprio tempo e non schiavi di un algoritmo?
Secondo la dott.ssa Ester Macrì, sociologa e presidente di ReteSviluppo: “TikTok è costruito ad arte per tenerci incollati ore e ore, e questo capita anche a noi adulti. Il dialogo all’interno della scuola e la formazione di docenti, educatori e degli stessi ragazzi è fondamentale per fornire prime risposte a questo preoccupante trend. Occorre incentivare percorsi che stimolino gli adolescenti a riflettere da protagonisti sull’uso che fanno delle piattaforme digitali.”

ReteSviluppo s.c.
Centro di ricerca su digitale e media education
info@retesviluppo.it
Dott.ssa Ester Macrì 3332581974 ester@retesviluppo.it

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Stefano CiapiniTikTok ruba il tempo (e il sonno) agli adolescenti fiorentini.

ReteSviluppo al convegno dell’Ordine dei Medici: presentata la ricerca “La messaggistica istantanea nell’esercizio della professione medica”

by Stefano Ciapini on 27 Febbraio 2023

Sabato 18 Febbraio 2023 Lapo Cecconi e Ester Macrì di ReteSviluppo hanno presentato la ricerca “La Messaggistica Istantanea nell’esercizio della Professione Medica” all’interno di una mattinata di confronto organizzata dall’Ordine dei Medici di Firenze.

Durante tutto il 2022 ReteSviluppo ha effettuato un’indagine online che ha coinvolto oltre 1500 professionisti dell’Ordine dei Medici di Firenze.

I risultati riportati sono assolutamente significativi e evidenziano la grande portata della messaggistica istantanea nell’esercizio della professione medica. Per riportare alcuni dei dati più significativi:

  • 8 medici su 10 hanno contatti con gli assistiti tramite smartphone
  • a seguito della pandemia 1 professionista su 2 comunica con i pazienti via WhatsApp
  • WhatsApp è l’app di comunicazione in assoluto più utilizzata (84,3%)
  • nello specifico WhatsApp viene usata per comunicare con i pazienti (53,9%), per fissare appuntamenti (39,8%), per inviare prescrizioni (20,7%), per valutare esami e dare consigli terapeutici ai pazienti (42%), per scambiare informazioni cliniche dei pazienti con i colleghi (56,1%)
  • la messaggistica istantanea risulta essere invasiva nella privacy e nella sfera privata di un medico

A concludere la mattinata le parole del presidente dell’Ordine Dattolo: “La messaggistica tramite cellulare permette di dare in tanti casi risposte rapide e tempestive ai pazienti, sciogliendo dubbi e timori, andando incontro alle esigenze più varie. È importante tuttavia non perdere di vista il confronto umano, di persona, che resta il centro di questa professione. Occorre anche porre attenzione al tema della privacy e restare aggiornati sulle nuove opportunità di comunicazione che si presenteranno nei prossimi anni per essere sempre al fianco della popolazione e nei loro bisogni di cura”.

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Progetto Youngle per Good Gamer Toscana | 4 febbraio, Livorno

by Stefano Ciapini on 24 Febbraio 2023

Sabato 4 Febbraio si è svolto a Livorno l’incontro di formazione per i peer del nuovo centro Youngle Games Livorno, finanziato da Anci Toscana e Regione Toscana nell’ambito del progetto Good Gamer Toscana.

La formazione si è basata sull’esperienza dei Peer Senior di Siena: 4 ragazzi tra i 16 e i 19 anni che tutte le settimane mettono a disposizione il loro tempo e le loro capacità per aiutare altri ragazzi in difficoltà.
Come? Tutti i ragazzi che ne avranno bisogno possono chattare in modo anonimo, sicuro e gratuito sulla App di Youngle ed avere così uno spazio in cui esprimere dubbi, paure, desideri, difficoltà e molto altro.

Dall’altra parte della chat ci troverete sempre dei ragazzi che sono lì proprio per ascoltare e accogliere chiunque abbia voglia di aprirsi con loro. Ci sono anche degli psicologi sempre a disposizione gratuitamente per chiunque ne avesse bisogno!

Il motto dei nostri Peer di Siena è: “Nella giungla della adolescenza, una liana per la sopravvivenza”.
Le parole d’ordine di questa giornata e di questo progetto sono: accoglienza, ascolto, assenza di giudizio, parità e condivisione. Se anche tu vuoi far parte di questo progetto o se sei interessato al servizio che esso svolge scarica l’App Youngle (Play storeApp store) o visita il profilo Instagram di Youngle della tua città.

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Stefano CiapiniProgetto Youngle per Good Gamer Toscana | 4 febbraio, Livorno

“Zitto e ascolta!” – La Peer Education e il nuovo ruolo dell’insegnante.

by Stefano Ciapini on 11 Maggio 2022

Nel preferire l’attività di peer alla lezione frontale il compito del docente rimane fondamentale sotto più punti di vista. E non si tratta solo di un ruolo di controllo dell’ordine della classe e di punizione in caso di comportamenti scorretti, c’è molto di più.

Il docente non più centrale, ma comunque fondamentale.

Non lo si vuole negare: nella meccaniche di peer education l’insegnante non sale in cattedra, non è più il sole attorno a cui gravitano i ragazzi, ma questo non deve ormai sorprendere. Come si diceva, tuttavia, il docente rimane una guida per i ragazzi e le ragazze, pur secondo modalità e schemi diversi.
Va sottolineato che gli alunni che si accingono a svolgere un’attività di peer education avranno sempre come punto di riferimento l’adulto, tali attività non sono infatti un “liberi tutti!”, non equivalgono assolutamente ad una ricreazione.
È in questa fase iniziale che il docente dovrà guidare i componenti della classe a capire la differenza tra ciò che si sta per svolgere e una qualsiasi altra attività ricreativa: la peer education trasferisce responsabilità e capacità d’azione nelle mani degli alunni, e questa trasmissione dev’essere ben compresa: sarà compito dell’insegnante far passare questi concetti e avere un occhio vigile affinché questo spirito permanga durante tutta l’attività.

Insegnante e alunno sullo stesso livello.

È vero che l’aspetto cattedratico viene a perdersi quando si sceglie di intraprendere un percorso all’insegna della peer education. Il concetto base è infatti che una nozione, un’informazione o una skill trasmessa sono recepite in maniera più efficace se a “lanciarle” non è l’adulto, il docente, bensì il compagno di classe.
È proprio questo ambiente protetto che viene a crearsi che permette agli alunni di esprimersi con una libertà non indifferente, una libertà che è anticamera dello sviluppo di responsabilità e riflessione in merito alle conseguenze delle proprie azioni. Ragazzi più ricettivi si trasformano alunni con un bagaglio di conoscenze e esperienze messe a frutto con maggior soddisfazione e con un risultato finale potenzialmente più elevato.
Affinché la presenza dell’insegnante non risulti ingombrante in questo piccolo ambiente protetto che viene a crearsi in classe, questi dovrà compiere l’importante sforzo di mettersi al pari dei ragazzi durante le attività, pur non abbandonando quell'”occhio vigile” di cui sopra.
Lo sforzo non è indifferente, anzi: implica dismettere dei panni ipoteticamente indossati fino a quel momento, ma il risultato sarà davvero soddisfacente anche per l’insegnante stesso. Per arrivare a questo è necessario però un percorso di formazione specifico!

Il ruolo dell’insegnante nel creare le giuste condizioni per l’attività.

Il docente deve avere più livelli di sensibilità e, come già introdotto all’inizio dell’articolo, è su di esso che ricade la responsabilità del buon avvio delle attività.
In questo frangente la conoscenza degli alunni è fondamentale, perché la peer education, di primo acchito, può risultare un approccio non troppo confortevole per tutti. È da mettere in conto che molte persone coinvolte (in realtà lo stesso insegnante, pertanto figuriamoci i ragazzi!) abbiano da uscire dalla propria comfort zone, ed ecco che il ruolo dell’adulto torna nevralgico: niente deve risultare come qualcosa di imposto e calato dall’alto, la bontà di questo genere di pratiche risiede anche nella capacità dell’educatore di far “uscire fuori” spontaneamente i ragazzi. Per creare queste condizioni è necessario sapere su quali leve fare forza, sapendo chi a livello individuale è per propria indole più ricettivo e reattivo, e chi invece ha bisogno di una spinta più dolce.
La creazione di questo ambiente è di grande importanza anche e soprattutto per queste persone più timide e in difficoltà nell’esporsi di fronte agli altri, ed è in questa fase che si scrive il destino dell’attività di peer education. Avrà successo fra i ragazzi? Funzionerà? Dipende molto da questa preparazione: è anche l’insegnante ad avere in mano il buon esito dell’esperienza!

In conclusione: l’insegnante non può mancare!

La figura dell’adulto rimane molto importante nelle attività di peer education, sempre considerando che, come ci sono delle cose in capo al docente, ci sono altre abilità che possiedono solo i ragazzi e di cui i “grandi” non possono proprio disporre. Però attenzione: il ruolo dell’insegnante non deve essere invasivo… ma non deve nemmeno sparire!

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Stefano Ciapini“Zitto e ascolta!” – La Peer Education e il nuovo ruolo dell’insegnante.

ReteSviluppo nelle scuole all’insegna della Digital Transformation

by Stefano Ciapini on 7 Aprile 2022

Il mondo e la società oggi cambiano i propri sistemi di riferimento ad una velocità molto elevata.
I rapporti tra esseri umani si conformano secondo modalità in continua evoluzione e così i giovani e i giovanissimi configurano dinamiche interpersonali talvolta anche del tutto estranee a ciò a cui le generazioni precedenti erano abituate.
Questo ha importanti risvolti nell’ambito educativo e formativo, dove si palesa la necessità di instaurare una connessione con ragazzi e ragazze secondo dinamiche nuove o comunque di recente ideazione.

Il mondo post pandemia: un’accelerata alla trasformazione digitale.

Non è un caso che queste considerazioni vengano fatte a seguito della pandemia globale che ci ha tenuti di fronte a uno schermo per più di due anni: il sistema educativo si è trovato di punto in bianco in balia di strumenti di comunicazione rispetto a cui, spesso, mancava anche l’alfabetizzazione.
È in quel periodo che come ReteSviluppo ci siamo mossi per offrire un supporto a docenti, genitori e studenti, ed è da lì che poi si è approfondita la necessità da parte degli istituti scolastici di scoprire metodi innovativi di formazione ed educazione, per esempio nell’ambito dei social, o attraverso tecniche di gamification, o ancora per mezzo di attività di peer education.

Imparare e riflettere attraverso l’interattività e il linguaggio innovativo.

C’è un fattore comune tra tutte le attività messe in campo sia presso la scuola media che le superiori, ovvero l’interattività: il coinvolgimento in prima persona di studenti e studentesse permette di imbastire un percorso che pone i ragazzi al centro, sentendosi così parte attiva di un processo di formazione coinvolgente e stimolante.
Lo si fa, come dicevamo, sfruttando linguaggi propri di preadolescenti e adolescenti.
Si prenda il caso della gamification, ovvero l’uso di tecniche mutuate dai giochi e dai videogame, e che approfondiremo in un prossimo articolo: in questo caso è evidente l’approccio che punta a parlare la lingua dello studente.
Oppure si pensi, riferendoci in particolare ai percorsi attuati nelle secondarie di secondo grado, alla peer education: anche in questo caso lo studente diviene parte attiva del percorso, stavolta con un metodo responsabilizzante e volto alla cooperazione.

Un percorso in continua evoluzione.

Concludendo, l’attività di ReteSviluppo nelle scuole, di cui oggi abbiamo dato un’infarinatura con la chiave di lettura della Digital Transformation, continua e si evolve all’insegna della partecipazione e dell’innovazione. Presto approfondiremo nel dettaglio le tante attività messe in campo!

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Stefano CiapiniReteSviluppo nelle scuole all’insegna della Digital Transformation

Democrazia partecipativa: nuova linfa per la dimensione pubblica delle decisioni

by Tommaso Rossi on 8 Marzo 2016

I cambiamenti cui sembrano andare incontro negli ultimi anni le democrazie moderne, in modo particolare la perdita di centralità delle forme di rappresentanza e di partecipazione, hanno finito inesorabilmente con il far emergere nuove idee di riforma della pratica democratica come il concetto di democrazia partecipativa. Un orientamento da cui hanno preso avvio approfondimenti ed approcci teorici ampi ed articolati ma anche diffuse e diversificate pratiche “partecipative”.

In letteratura vi è anche una ampia discussione riguardo al significato di democrazia partecipativa così come alla distinzione terminologica rispetto all’espressione democrazia deliberativa . Non è tuttavia obiettivo di questo articolo approfondire le differenze terminologiche tra le due espressioni quanto sottolineare soprattutto l’emergere di una nuova e per certi versi intermedia forma di democrazia tra quella rappresentativa e quella diretta che definiamo per semplicità in questo articolo partecipativa.

Per democrazia partecipativa si intende un modello in cui la partecipazione è assunta quale metodo di governo della cosa pubblica, in base a criteri di inclusione, collaborazione e stabilità del confronto fra istituzioni e società civile: in particolare essa si configura come un’interazione entro procedure pubbliche (amministrative, normative, di controllo) fra società e istituzioni, che mira, mediante forme collaborative di gestione dei conflitti, a produrre di volta in volta un risultato unitario in funzione del miglior perseguimento dell’interesse generale.

Secondo Umberto Allegretti, nella democrazia partecipativa le persone sono presenti come singoli e attraverso associazioni, e agiscono autonomamente nell’istruttoria, nella consultazione e nella stessa decisione in seno però a procedure istituzionali riconosciute: “cittadini comuni” che intervengono attraverso autocandidatura o su chiamata attraverso sorteggio o con altre modalità imparziali scelte dall’istituzione che conduce il processo.

Solitamente i cittadini definiscono delle raccomandazioni ma è l’istituzione ad assumere la vera e propria decisione finale. Per Allegretti pertanto la democrazia partecipativa implicherebbe un ruolo importante da parte delle istituzioni che non perderebbero il loro ruolo decisorio ma che rimarrebbero al contrario centrali all’interno del processo. Dall’altra parte i cittadini agirebbero come legittimi protagonisti, autonomi e capaci di influenzare la decisione; non si tratterebbe delle classiche procedure della democrazia diretta o delle esperienze di autogestione in cui da soli i cittadini decidono in merito ad una specifica tematica. Si assisterebbe pertanto ad una situazione in cui, all’interno di una procedura organizzata, le due componenti (cittadini ed istituzione) sarebbero reciprocamente riconosciuti.

Nonostante le potenzialità della democrazia partecipativa, altrettanto, diffuse sono le perplessità dovute anche al fatto che, in diverse occasioni, sono state nutrite attese che poi hanno avuto difficoltà ad essere realizzate concretamente. È opportuno pertanto interrogarsi tanto sui punti di forza che sui punti di debolezza di tale approccio e delle esperienze realizzate, in modo da alimentare le opportunità di cambiamento offerte da questo nuovo orientamento che sembra in grado di garantire nuova linfa alla dimensione pubblica delle decisioni. In un periodo in cui la politica e gli organi di rappresentanza sembrano aver perso il loro ruolo storico, queste nuove forme di partecipazione potrebbero infatti garantire una rinnovata partecipazione collettiva con forme e modalità nuove.

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L’ascolto attivo nei processi partecipativi

by Tommaso Rossi on 4 Gennaio 2016

Far partecipare non significa soltanto promuovere un processo partecipativo ma significa anche utilizzare e sviluppare metodologie inclusive adeguate al coinvolgimento dei cittadini.

Tra queste abbiamo deciso di parlare in questo articolo dell’”ascolto attivo”, una metodologia teorizzata in Italia da Marianella Sclavi, docente di etnografia urbana presso il Politecnico di Milano, nel suo libro “Arte di ascoltare e mondi possibili”.

Secondo Sclavi, l’ascolto per essere “attivo” deve avere a che fare con le dinamiche dell’umorismo e delle emozioni: deve essere aperto e rivolto non solo verso l’altro, ma anche verso se stessi, per ascoltare le proprie emozioni, per essere consapevoli dei limiti del proprio punto di vista.

L’ascolto attivo parte dal presupposto che, nell’interazione, vi sono “archi di possibilità” che diamo per scontati e dei quali non siamo consapevoli all’interno dei quali si inscrivono i nostri comportamenti. Essere consapevoli di queste “cornici”, di cui siamo parte e che condizionano il nostro modo di vedere e di agire, è un punto strategico dell’ascolto attivo.

Uno degli assunti fondamentali di questa metodologia è infatti il seguente: “Se vuoi comprendere quello che un altro sta dicendo, devi assumere che ha ragione e chiedergli di aiutarti a vedere le cose e gli eventi dalla sua prospettiva.” L’Ascolto Attivo significa passare dalla contrapposizione “giusto-sbagliato”, “io ho ragione-tu hai torto”, “amico-nemico” ad una situazione in cui ci si pone nella condizione di capire l’interlocutore. Questa metodologia ribalta l’approccio tradizionale del buon osservatore che dovrebbe essere passivo, neutrale; propone al contrario la necessità di abbandonare un approccio razionale nel quale le emozioni sono considerate come disturbatrici della conoscenza e di sposare al contrario un atteggiamento attivo, aperto al dialogo, disposto a mettere in discussione le proprie certezze, attento agli interessi in gioco invece che alle posizioni, dando molta importanza alle percezioni soggettive dell’altro.

Le basi teoriche di questo approccio sono state delineate da studiosi che sostengono la priorità dell’ascolto in un paradigma dialogico (Bachtin, Bube, Heidegger) e dai teorici dei sistemi complessi (Ashby, Bateson, Emery e Trist, Kurt Lewin, Von Foerster).

L’ascolto attivo è sicuramente un approccio complesso ma fondamentale per avviare processi inclusivi che non si limita a registrare opinioni o punti di vista dei cittadini o degli stakeholder ma a creare un vero e proprio dialogo cercando di capire ciò che essi cercano di esprimere.

Vi sono una pluralità di tecniche di ascolto attivo: l’outreach, letteralmente “raggiungere fuori”, ovvero andare a consultare le persone piuttosto che aspettare che queste lo facciano spontaneamente (distribuzione materiale informativo a casa o presso i centri di aggregazione, articoli sui giornali o spot informativi, interventi informativi e di sensibilizzazione all’interno di gruppi specifici ecc..); “l’animazione territoriale” ovvero promuovere la sensibilizzazione e la partecipazione degli attori locali intorno a dei problemi comuni raccogliendo delle informazioni quantitative e qualitative; organizzare “camminata di quartiere” ovvero passeggiate per il quartiere con le persone interessate (piccoli gruppi di cittadini, professionisti, tecnici, funzionari); aprire “punti o sportelli” informativi sul territorio; riunire piccoli gruppi per mettere a fuoco o analizzare un argomento (“focus group”) o per trovare soluzioni creative ai problemi (“brainstorming”, letteralmente “tempesta di cervelli”). L’importante è dare rilevanza alla fase d’ascolto soprattutto nella fasi preliminari di un percorso partecipativo, quando si tratta di avviare un processo, individuare gli attori e le tematiche su cui concentrarsi.

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