Intervista a Claudia Fiaschi, Presidente di ACI Toscana

by Tommaso Rossi on 27 Novembre 2013

 Intervista al Presidente ACI Toscana sul metodo partecipativo: “Quello che è venuto fuori oggi ci dà degli strumenti di programmazione importanti per il futuro!”

Martedì 26 novembre si è svolto il primo incontro del comitato esecutivo dell’Alleanza delle cooperative italiane Toscana.

La giornata è stata interamente organizzata da ReteSviluppo insieme a Lama, attraverso un processo partecipativo caratterizzato dal dialogo, dall’interazione e dallo scambio di vedute su due temi scelti (quello della promozione alla cooperazione e quello dei mercati emergenti) che ha fatto emergere delle linee politiche comuni per il futuro della nuova rappresentanza della cooperazione in Toscana. Vediamo qual è stata l’opinione del presidente Claudia Fiaschi, che gentilmente ha risposto alle nostre domande.

Ha trovato utile o costruttivo un metodo di lavoro che prevede l’interazione e la partecipazione attiva di tutti i presenti, piuttosto che un’assemblea classica con interventi singoli?

Sì, questo gruppo ha bisogno di affinare le sensibilità e di armonizzare i linguaggi, di individuare degli obiettivi comuni; questo metodo mi sembra funzionale allo scopo e siamo contenti di averlo utilizzato in questa prima assemblea dell’esecutivo.

Dunque un modo per conoscersi meglio all’interno di ACI?

Sì, sicuramente sappiamo che le tre esperienze hanno delle matrici culturali diverse, linguaggi, esperienze che sono il retroterra da cui veniamo, il punto di partenza comune che si costruisce armonizzando i pensieri con il lavoro “gomito a gomito”.

Potrebbe diventare un metodo di lavoro continuativo da riproporre in altre occasioni?

È stata una prima sperimentazione. Io credo molto ai modelli partecipativi, ovviamente non sono da sola, quindi saranno importanti per il futuro le valutazioni di chi ha partecipato oggi, vediamo se riterranno che questo strumento ci aiuterà a disegnare il nostro futuro in maniera più rapida ed efficacie, soprattutto meno pesante. Se è così perché no?

Ha delle sue proposte sul metodo? Sulla durata ad esempio? Ci potrebbe dare alcune sue considerazioni personali.

Sicuramente avremmo avuto bisogno di più tempo, di qualche pausa in più; però sapevamo che oggi era una giornata con queste caratteristiche. Possiamo lavorare sull’affinamento delle domande; sono cose che però progrediscono nel tempo. Ma già quello che è venuto fuori oggi ci dà degli strumenti di programmazione importanti, almeno per quello che ho potuto vedere fino ad oggi.

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Tommaso RossiIntervista a Claudia Fiaschi, Presidente di ACI Toscana

Impresa sociale: se non ora, quando?

by Tommaso Rossi on 13 Novembre 2013

Estratto dall’intervista a Salvatore Natoli, a cura di Massimo Campedelli, uscita su Animazione Sociale (n. 275, agosto/settembre 2013) – “Tempo di imprese che producono beni per il territorio”

Imprese sociali, servizi e associazioni si chiedono come riposizionarsi dentro la crisi che mette in dubbio non solo il modello economico-finanziario finora conosciuto, ma anche lo stile di vita e di consumo che lo ha caratterizzato. Questa connessione tra economia e sviluppo è messa in evidenza da Salvatore Natoli, filosofo, descrivendo l’idea di crescita -forza propulsiva dell’economia- come intimamente connessa con il concetto di sviluppo; “senza crescita non c’è lavoro, senza lavoro non si produce consumo e senza consumo l’economia non produce ricchezza e benessere”.

Nel XX secolo la possibilità di aumentare il livello di ricchezza complessiva di un paese era agganciata all’aumento dei consumi perché allora era possibile ancora “allargare” i consumi.

“ In quegli anni, il Paese [Italia] ha avuto una grande possibilità di consumo perché esistevano enormi aree povertà e quindi era possibile creare, inventare il consumatore, i consumatori”.

Oltre all’aspetto economico, negli anni del dopoguerra in Italia si assisteva anche a una rinascita della società civile, dopo la repressione fascista. Si pensi alla Costituzione, che viene scritta in quegli anni in una “prospettiva etica di sviluppo”.

Secondo questa lettura i consumi hanno liberato il nostro Paese dalla schiavitù della necessità: la possibilità di consumare ha affrancato la popolazione italiana dal bisogno, dalla malattia e dalla mancanza di igiene. Anche negli anni successivi, quando si è sentita la necessità di saziare bisogni più complessi, con beni più sofisticati, si pensi alla lavatrice, si è sempre risposto a una necessità di liberazione, in questo caso delle donne dalla fatica dei lavori domestici.

Ma allora, questo meccanismo, quando si è inceppato? Quando abbiamo iniziato a porci delle domande sulla sostenibilità del sistema, proiettandoci in una serie interminabile di dilemmi come quello riguardante il caso ILVA. Si deve scegliere tra la salute e il lavoro?

Ma se da una parte ci rendiamo conto dell’insostenibilità di questo modello di sviluppo, dall’altra troviamo forti resistenze per modificarlo. La difficoltà principale risiede nella trasformazione del concetto di bisogno, che è passato dall’essere inteso come necessità di liberazione da qualcosa, a essere considerato come una condizione naturale.

“Se negli anni cinquanta impiantare uno scaldabagno era liberarsi da un bisogno (fare una doccia), oggi lo scaldabagno è una “condizione naturale”, come se ci fosse stato sempre”.

Questo meccanismo di naturalizzazione dei bisogni è incentivato dall’industria stessa, immettendo sempre nuovi prodotti che, drogando la società, rendono dipendenti al loro consumo. Cambia così il concetto di libertà, che “non è la capacità critica di scelta, ma avere o no accesso a consumi che spesso rispondono a bisogni non essenziali, ormai naturalizzati”.

Se tutti i mali non vengono per nuocere, la crisi del 2008 potrebbe essere un’occasione per mettere in discussione il modello economico e di vita che l’ha determinata. “Bisogna approfittare dell’arretramento dei consumi per pensare a stili di vita diversi, ridefinendo l’ordine delle necessità, uscendo dalla condizione di consumatori passivi…per diventare consumatori attivi”. Dobbiamo tornare al senso critico insito nel concetto di scelta che è racchiuso a sua volta nel concetto di libertà.

Per incentivare un consumo consapevole e critico non basta educare. È necessario incidere anche sui sistemi di produzione. Il territorio può essere il livello più adatto per mettere in atto questo tipo di mutamento, perché permette di capire più facilmente quanto un investimento possa essere vantaggioso.

“Abbiamo bisogno di imprese che lavorino su problemi locali”.

A questo punto arriviamo a esporre il concetto di impresa sociale. Va innanzitutto detto che, se da una parte ogni impresa è sociale perché comunità di lavoratori titolari di diritti, dall’altra non è detto che il prodotto dell’impresa sia sempre sociale. È questo il fattore discriminante. Come dice Natoli, “produrre sostegno sociale non vuol dire andare incontro a una scelta aleatoria di quel che si può o si vuole comprare o meno, ma soddisfare un bisogno sociale reale di “questo” territorio”. É questo che fa la differenza tra un sistema di sostegno all’handicap e un’impresa che fabbrica lenti a contatto. Un problema di handicap non può essere trasferito come un’occhiale, che può essere prodotto e venduto in tutto il mondo. “Il bene sociale è soddisfare i bisogni del territorio che esigono una soluzione qui e ora perché non “trasferibili”, delocalizzabili come altre produzioni”.

L’impresa che vuole qualificarsi come sociale ha anche l’importante compito di generare “beni di relazione”, deve cioè creare dei “sistemi di amicizia”, cioè “possibilità in cui le persone possano stare insieme, … [e possano] sviluppare azioni di vita collettiva, movimenti associativi in cui il rapporto con l’altro diventa un rapporto di reciproca generosità”. Per rendere tutto questo reale si avverte la necessità di costruire spazi pubblici.

Per attivare questa serie di processi si fa riferimento a una politica orizzontale, un modo di fare politica cioè che vede i cittadini impegnati nella loro funzione di “pressione per ripensare modelli di sviluppo e di impresa … che deve essere continua” e i rappresentanti come attori che recepiscono in modo attento questa pressione che li guiderà nelle proprie scelte.

Per concludere Natoli ci ricorda che

“la caratteristica delle democrazie è che non sono nelle condizioni di eleggere i migliori, ma possono “revocare i peggiori”. La competenza democratica non ha la capacità di identificare il meglio, la capacità delle democrazie è risanarsi.” .

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Tommaso RossiImpresa sociale: se non ora, quando?

Strategia per la crescita EUROPA 2020: che direzione le risorse?

by Tommaso Rossi on 12 Novembre 2013

L’obiettivo di questo articolo è quello di fare un’analisi della strategia per la crescita europea per il periodo di nuova programmazione (2014/20), cercando di capire in quali settori dell’economia si prevede un investimento di risorse maggiore.

Obiettivi generali

Partiamo dagli obiettivi generali.

Europa 2020 parte dalla costatazione del mancato raggiungimento di alcuni dei macro obiettivi che erano stati prefissati nella strategia di Lisbona (conclusasi nel 2010) e dalla presa d’atto di alcune criticità e difficoltà che sono emerse. Se la strategia di Lisbona aveva fallito di molto nel suo primo obiettivo di raggiungere un tasso di occupazione pari al 70% e si era fermata al 62%, e nel suo secondo obiettivo che era quello di investimenti in ricerca e sviluppo pari al 3% del PIL complessivo dell’UE, risultato fermo, invece, all’ 1,9%, gli obiettivi di Europa 2020 sono parimenti ambiziosi e forse non maggiormente realistici.

Europa 2020Vediamoli nel dettaglio.

  1. Occupazione – innalzamento al 75% del tasso di occupazione (per la fascia di età compresa tra i 20 e i 64 anni);
  2. R&S: aumento degli investimenti in ricerca e sviluppo al 3% del PIL dell’UE (rimane lo stesso obiettivo non raggiunto nel decennio precedente…);
  3. Cambiamenti climatici e sostenibilità energetica: riduzione delle emissioni di gas serra del 20% (o persino del 30%, se le condizioni lo permettono) rispetto al 1990; 20% del fabbisogno di energia ricavato da fonti rinnovabili; aumento del 20% dell’efficienza energetica;
  4. Istruzione. Riduzione dei tassi di abbandono scolastico precoce al di sotto del 10% – aumento al 40% dei 30-34enni con un’istruzione universitaria –
  5. Lotta alla povertà e all’emarginazione – almeno 20 milioni di persone a rischio o in situazione di povertà ed emarginazione in meno.

Come si può notare, si pone l’accento sul grave problema legato al tasso di occupazione nei paesi europei, soprattutto quella giovanile e delle donne, in continuo calo a causa della crisi economica, della globalizzazione e della maggiore competitività dei PVS (in primis Cina e India) in alcuni settori che in passato erano dominati dal Vecchio continente e infine dal ritardo, soprattutto nei paesi del sud Europa, nell’adozione e nella diffusione delle moderne tecnologie (ITC – Information and Communication Technology). Per questo l’azione dell’UE, nell’ottica di una crescita intelligente e del raggiungimento di un obiettivo assai ambizioso per quanto riguarda il tasso di occupazione (posto al 75%), prevede investimenti e risorse nello sviluppo dell’Agenda Digitale Europea con l’obiettivo specifico di creare un mercato unico del digitale basato su Internet ad alta e altissima velocità e su applicazioni interoperabili, in modo da colmare il gap con USA e PVS (l’Italia è molto indietro – ultima insieme a Bulgaria e Romania negli acquisti on line, per fare un esempio).Si prevedono inoltre ampie risorse in vista di un nuovo orientamento delle politiche di ricerca e dello sviluppo e nel campo dell’innovazione; infine verranno destinate risorse per favorire ulteriormente la mobilità dei giovani (Youth on the Move), con l’obiettivo di migliorare i livelli di istruzione e di formazione di quest’ultimi, in modo da attrezzarli ad un mercato del lavoro più competitivo ed internazionalizzato.

La strategia Europa 2020 inoltre, mette in primo piano un’altra necessità per il futuro dell’UE (e del mondo), ovvero la questione ambientale; protezione dell’ambiente e lotta al cambiamento climatico sono priorità per una crescita sostenibile (difatti si prevede che il 37% delle risorse previste nel c.d. Multi Financial Framework (MFF) siano destinate proprio alla crescita sostenibile). Obiettivi molto ambiziosi da raggiungere, ma che fanno capire la direzione presa dall’UE nell’erogazione dei prossimi fondi strutturali ed europei.

Infine Europa 2020 intende promuovere una crescita solidale, attraverso una serie di azioni concrete per aiutare le persone ad acquisire nuove competenze in ambito lavorativo, garantire la sostenibilità dei nostri modelli sociali, tutelare i diritti dei poveri ed emarginati, aiutandoli a vivere in modo dignitoso e a partecipare attivamente alla società.

Abbiamo sottolineato in grassetto le parole chiave intelligente, sostenibile e solidale, da considerarsi delle vere e proprie priorità (possiamo definirle linee – guida) che saranno alla base di tutti finanziamenti diretti e indiretti provenienti da Bruxelles.

È ancora presto per capire e analizzare nel dettaglio specifico quanti miliardi di euro saranno destinati in ciascuna regione e in quali settori , in ogni caso è fondamentale, e si è cercato di farlo in questo articolo, sottolineare quali sono le linee guida (o priorità), gli obiettivi generali che verranno seguiti dalla strategia Europa 2020. Nella speranza e nella convinzione che l’Italia, nella via intrapresa dagli ultimi due ministri della coesione territoriale (Barca e Trigilia), riesca a fare ulteriori passi in avanti nella spesa dei fondi messi a disposizione dall’UE – il 7 novembre il commissario Hanh ha dichiarato che l’Italia al momento ha speso la metà dei fondi che deve impiegare entro il 2015 per non perderli.

I finanziamenti europei arrivano. Bisogna e si deve fare di più per spenderli e non mandarli indietro. Dobbiamo imparare a conoscere i fondi europei, diretti e indiretti, e le amministrazioni nazionali e regionali devono imparare a non solo ottenerli, ma anche a programmarne efficacemente e tempestivamente l’utilizzo.

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Tommaso RossiStrategia per la crescita EUROPA 2020: che direzione le risorse?

Impresa sociale: iniziamo a conoscerla

by Tommaso Rossi on 6 Novembre 2013

Questo articolo è un estratto da un’intervista sul tema dell’impresa sociale con il Professore Filippo Buccarelli, docente incaricato della Scuola di Scienze Politiche e Sociali “Cesare Alfieri” di Firenze e ricercatore di CAMBIOCentro Studi sulle Trasformazioni Sociali dell’Ateneo di Firenze.

Oggi il tema dell’impresa sociale, a causa della crisi che dal 2008 ha condizionato in modo determinante la nostra vita e ha cambiato il mondo rendendolo un posto nuovo da codificare, si è fatto spazio in modo prepotente nel dibattito accademico e istituzionale. Ma cosa è l’impresa sociale, quale è il suo campo di azione e perché è vista da alcuni come uno strumento valido per uscire dalla crisi?

Partiamo da cosa è impresa sociale in Italia. Fino al 2005 in Italia l’impresa sociale era la cooperativa sociale. Con l’introduzione della legge delega 118 del 2005 e del d.lgs attuativo 155 del 2006 si definisce il soggetto giuridico di “impresa sociale” ampliando la platea dalle cooperative sociali no profit anche ad imprese orientate al profit. Oltre a quelli tradizionali delle cooperative sociali, ovvero il socio-sanitario, l’educativo e l’inserimento dei soggetti svantaggiati, si ampliano gli ambiti di intervento a settori produttivi diversi come potrebbero essere il turismo sociale, la gestione dei beni culturali e il settore della green economy.

Molte cooperative, nonostante abbiano la possibilità formale di mutuarsi in imprese sociali, rimangono tali. Se si va a guardare le adesioni all’Albo della Camera di Commercio dedicato a questo tipo di imprese se ne trovano pochissime. Le poche adesioni trovano motivazione in una normativa che, oltre a essere farraginosa e incoerente, offre pochi vantaggi rispetto a quelli dedicati alle cooperative, inoltre alcune ricerche mostrano una carenza di informazione presso gli imprenditori stessi, che spesso non sono nemmeno a conoscenza della possibilità di fare questo tipo di impresa.

In Europa ci sono dei casi nazionali che offrono importanti spunti di confronto con il caso italiano. Il caso inglese è uno dei più interessanti nel panorama europeo, in questo campo di intervento si hanno procedure più snelle, rispetto a quelle che ci possono essere nel nostro paese, che hanno permesso di aprire il campo dell’intervento sociale anche ad imprese orientate al profit e non solo alle cooperative. La possibilità di ricorrere all’azionariato diffuso (suddivisione del capitale sociale dell’impresa tra molti azionisti, che possono avere solo il 3 – 5% delle azioni), introduce una logica di profitto nel campo dell’intervento sociale e dà la possibilità a queste imprese di trovare fondi aggiuntivi che le rende autonome dall’intervento pubblico. Osservando i diversi casi europei si evidenza una certa correlazione tra il modello di welfare di un paese e la diffusione dell’impresa sociale.

In generale si può dire che dove manca il pubblico (Inghilterra) e dove è andato clamorosamente in crisi (Italia), l’impresa sociale ha preso più campo.

Abbiamo precedentemente descritto alcuni ambiti in cui opera l’impresa sociale, ma in generale si può identificare nell’economia sociale il suo principale campo di azione. In essa si sviluppano gli scambi orientati a produrre beni pubblici, ovvero beni per la comunità (dall’inserimento socio-lavorativo delle persone deboli, alla salvaguardia, manutenzione del territorio). Come ogni impresa che agisce su un mercato, anche l’impresa sociale produce delle esternalità positive e delle diseconomie. L’inclusione sociale che un’impresa che impiega più del 30% del personale affetto da handicap, è senza dubbio un’esternalità positiva, tuttavia non si può altrettanto essere ottimisti per quanto riguarda un esempio noto a tutti come il caso dell’ILVA di Taranto. Sebbene sia la principale fonte di reddito per gran parte della cittadinanza, e quindi possa svolgere una funzione importante di sostentamento per la rete sociale, essa produce delle diseconomie di entità disastrosa per la salute di chi vi lavora e di chi vive a Taranto e dintorni.

Un aspetto caratterizzante l’impresa sociale è la sua stretta relazione con il territorio. Essa non può prescindere dal contesto in cui è inserita, nemmeno se lo volesse. Il tipo di economia in cui opera è produttrice di beni così detti relazionali, per tanto questo tipo di impresa ha bisogno di creare quella serie di relazioni che legano il suo operato all’ambiente che la circonda. Per essere sociale infatti un’impresa non può avere come principale obiettivo la mera massimizzazione del profitto, come qualsiasi altra impresa orientata al mercato, perché non svolgerebbe la sua azione principale, che è appunto quella sociale. L’impresa sociale deve essere vicina ai bisogni del territorio in cui è insediata e avere cari i temi che riguardano la qualificazione e salvaguardia dello stesso, e questo suo interesse non solo la preserva dall’avere un orientamento incentrato solo sul profitto, costituisce l’oggetto principale della sua azione.

Sempre considerando l’aspetto locale dell’impresa sociale è necessario prestare attenzione anche al ruolo della politica e all’influenza che esercita su questo particolare settore. In Italia l’ente locale influenza in modo determinante le modalità di azione e i criteri di intervento delle cooperative attive sul territorio. Si determinano i costi di un servizio, stanziando un numero limitato di risorse e si creano spesso servizi ad hoc sapendo già a chi affidarli. Questa dipendenza dai soldi pubblici è un problema grave per le cooperative sociali che non riescono ad emanciparsi dal potere pubblico. La politica potrebbe oltretutto avere anche un’importanza rilevante nella riformulazione in senso più flessibile della normativa vigente riguardante il settore, garantendo la germinazione spontanea di questo tipo di imprese.

Per concludere si propone una riflessione sulla funzione che l’impresa sociale potrebbe avere in questa fase di transizione che stiamo vivendo dallo scoppio della crisi del 2008. Come dice il professore Buccarelli infatti, “Il punto è che siamo arrivati a un momento storico in cui non si può più pensare che un’impresa sia solo for profit e una for no profit. L’impresa for profit lasciata a se stessa, brucia tutto. L’impresa no profit lasciata a se stessa, muore”. Si può così pensare all’impresa sociale come un nuovo ente intermedio tra il profit e il no profit.

Restando ferma la necessità di questa commistione tra i due poli del profit e del no profit, non si può pensare che l’impresa sociale possa costituire il paradigma del capitalismo del XXI secolo, come sostiene l’economista Zamagni. Vi sono alcuni settori produttivi che non possono funzionare con le sue logiche, perché essa è di per sé poco produttiva. Non vi sono tecnologie che automatizzano e velocizzano alcuni processi necessari alla competizione sul mercato. E, come abbiamo precedentemente detto, opera all’interno dell’economia sociale che produce beni relazionali, cioè beni il cui valore aggiunto sta nell’interazione tra l’operatore e l’utente. Richiede tempo, pazienza, competenza, professionalità.

La conversazione si conclude con una riflessione che il professore fa sul concetto di impresa sociale:

“mettere insieme le parole “impresa” e “sociale”, sembra un ossimoro; mettere insieme efficienza e profitto all’attenzione per i legami umani, non è una cosa possibile. È una sfida costante, sono due dimensioni che non possono mai essere definitivamente messe insieme. È una dialettica, ed è in essa che sta il motore propulsivo. Questo è tipico dell’azione sociale in generale, che è fatta da individui che non sono mai solo e soltanto esseri sociali, ma sono anche individualità irriducibili. C’è l’interesse personale, e l’ideale. Non esiste ideale che si è affermato senza l’interesse personale”.

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Tommaso RossiImpresa sociale: iniziamo a conoscerla

Nuova stagione toscana della partecipazione democratica

by Tommaso Rossi on 5 Novembre 2013

In vista del convegno “Partecipare per Fare” che si terrà Venerdì 8 novembre a Palazzo degli Affari in Piazza Adua e che vedrà la presenza di ReteSviluppo come uno dei protagonisti dei vari casi di processi decisionali partecipativi, ci sembrava necessario spiegare di cosa si tratta. Cerchiamo di farlo rispondendo a 4 domande che potrebbe porre qualsiasi persona interessata sull’argomento PARTECIPAZIONE DEMOCRATICA:

1. Cosa si intende per legge sulla partecipazione?

La c.d “legge sulla partecipazione”, approvata dal Consiglio Regionale con Legge Regionale 69/2007 si prefigge l’ obiettivo – individuando nella partecipazione un innegabile diritto del cittadino che, in quanto tale, deve essere sostenuta ed incentivata- di promuovere il coinvolgimento della popolazione nei processi di formazione ed elaborazione delle scelte istituzionali relative al territorio toscano.

2. La Toscana può considerarsi un esempio da seguire nel campo dei processi decisionali partecipativi?

Sicuramente sì. La regione Toscana è stata la prima in Italia a dotarsi di una legge sulla partecipazione ad hoc (L.R. 69/2007) che finanzia processi partecipativi ed esperimenti di coinvolgimento di cittadini con varie metodologie. Il primo bilancio è certamente positivo, anche se ci sono stati alcuni errori che con la nuova legge 46/2013 si pensa possano essere limiti. Occorre inoltre aggiungere che questa legge è stata da modello per altre regioni, in particolare l’Emilia Romagna, che con L.R. 3/2010 si è dotata di uno strumento legislativo molto simile.

3. Quali sono le principali novità della legge regionale 46/2013 che comincerà ad operare nelle prossime settimane?

La principale novità della nuova legge sulla Partecipazione è che sarà obbligatorio il Dibattito Pubblico – un momento di informazione e confronto con i cittadini nelle fasi preliminari di elaborazione di un progetto, quando diverse opzioni sono ancora possibili – per tutte le opere pubbliche di competenza regionale che superano la soglia di 50 milioni di euro e per la localizzazione di opere nazionali.

Un altro aspetto di considerevole importanza, inoltre, consiste nel fatto che la nuova l.r. tende a limare ad uno dei difetti, quello della scarsa collegialità nell’erogazione dei finanziamenti. La L.R. 46/2013, difatti, prevede che l’Autorità regionale per la garanzia e la promozione della partecipazione, a differenza di quanto previsto dalla legge precedente, non sarà rappresentata da una sola persona ma da un organo collegiale composto da tre membri.

4. Quali sono i progetti che Rete Sviluppo presenterà al convegno dell’8 novembre?

ReteSviluppo presenterà due casi di successo:

“Le idee per la salute: percorso di partecipazione sulla diversabilità e le difficoltà di vita autonoma”, progetto svolto per la Società della Salute (SdS) Fiorentina Nord Ovest – v. i risultati del progetto

“Bilancio in Comune” per il Comune di Monteriggioni – v. il sito con i risultati del progetto

A questi due “case studies” se ne aggiungono molti altri su cui ReteSviluppo ha lavorato, alcuni cofinanziati da Regione Toscana, altri espressamente voluti dai singoli enti locali e da alcune associazioni (un caso di particolare coinvolgimento della popolazione giovanile e di orgoglio per la nostra società è stato quello svolto con scuole a Prato insieme a Legambiente sui temi del risparmio energetico).

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Tommaso RossiNuova stagione toscana della partecipazione democratica

La meglio gioventù (che aspetta un lavoro)

by Tommaso Rossi on 30 Maggio 2013

La XV indagine Almalaurea sulla condizione occupazionale dei laureati registra un ulteriore peggioramento del posizionamento dei giovani laureati all’interno del mercato del lavoro: aumenta il tasso di disoccupazione, mentre tra gli occupati si registra un aumento delle forme contrattuali a tempo determinato, e ciò avviene anche per quei giovani in possesso di lauree tradizionalmente considerate più ‘spendibili’, come ad esempio ingegneria informatica.

Tra gli occupati i dati mostrano tuttavia le migliori performance dei lavoratori in possesso di laurea rispetto ai diplomati, con un tasso di occupazione superiore di oltre 12 punti percentuali (76,6 contro 64,2) e una retribuzione media che, nel confronto, risulta superiore del 50% per gli occupati con laurea. Studiare conviene, quindi, e conviene ancora di più accompagnare il percorso accademico con uno stage curriculare di qualità, che accresce del 12% la probabilità di occupazione dei laureati ad un anno della conclusione degli studi rispetto a chi invece non vanta tale esperienza formativa. L’indagine smorza quindi quello che negli ultimi anni sembrava un quadro sempre più a tinte fosche per i giovani che puntavano sul cd. fattore ‘k’, quel capitale umano fatto di conoscenze teoriche e saper fare pratici appresi durante il percorso universitario.

Ciò ovviamente non cancella le problematiche del mercato del lavoro italiano ad ‘imbuto’, in cui le recenti riforme – in primis quella pensionistica – hanno di fatto ridotto il turnover raggiungendo ragionieristici obiettivi di riduzione della spesa pubblica, col risultato di trattenere al lavoro persone poco motivate (che solo fino a qualche mese fa avevano la prospettiva di poter andare in pensione) bloccando invece l’ingresso di forze giovani, più formate e motivate. Ciò è avvenuto nel mondo dell’impresa, ma in maniera evidente anche all’interno della Pubblica Amministrazione. Patetico persino pensare che alle condizioni attuali le imprese e le PA italiane possano raggiungere significativi aumenti dei livelli di produttività, fondamentali per realizzare quella CRESCITA così tanto evocata da soloni e burocrati delle istituzioni nazionali ed europee. Centrale resta l’esigenza di un taglio del costo del lavoro per le imprese, senza il quale fare impresa e creare sviluppo diventa difficile anche per l’imprenditore visionario à la Schumpeter.

Di tutto questo l’attuale classe dirigente deve dare conto, c’è una generazione che non può aspettare.

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Tommaso RossiLa meglio gioventù (che aspetta un lavoro)

Open Data: un progetto di innovazione dalla Toscana

by Tommaso Rossi on 8 Maggio 2013

reteSviluppo partecipa al progetto ‘ODINet’ approvato a dicembre 2012 dalla Regione Toscana nel bando POR “Programma CreO FESR 2007-2013”.

Il progetto rientra all’interno del vasto movimento degli Open Data, che in Italia ha avuto una notevole accelerazione negli ultimi tempi anche grazie alle novità normative introdotte – Legge 17 dicembre 2012 n.221, cd. Open Data by default – grazie alle quali, dal 19 marzo 2013, tutti i dati e documenti che le pubbliche amministrazioni pubblicano con qualsiasi modalità, senza l’espressa adozione di una licenza d’uso, si intendono rilasciati come dati aperti. È perciò probabile che nei prossimi anni il web fornirà una sempre crescente disponibilità di dati ed informazioni, con relativi problemi legati alla loro fruizione in ragione della diversità di formati, protocolli, metodologie e infrastrutture tecnologiche.

Il progetto ODINet prevede lo sviluppo di metodologie ed interfacce standard di accesso diretto ai dati online in modo integrato e federato, e si propone di sviluppare nuovi metodi di interrogazione e caratterizzazione dei dati nel web, per mezzo di tecniche di analisi e classificazione inerenti le reti sociali, sfruttando i collegamenti tematici, geografici, telematici e sociali insiti nei dati.

Le principali ricadute positive del progetto riguarderanno la Pubblica Amministrazione, gli enti produttori di dati, i cittadini, le aziende e la comunità scientifica. ODINet infatti si propone di sviluppare strumenti in grado di rendere maggiormente fruibili dati ed informazioni oggi caratterizzati da frammentarietà ed estrema dispersione, elementi di forte ostacolo agli obiettivi di maggiore trasparenza ed efficienza che le pubbliche amministrazioni intendono perseguire anche grazie alla diffusione di dati liberi. Open Data non è solo sinonimo di trasparenza della PA, ma può rappresentare anche un importante vettore di sviluppo economico in un contesto globale in cui l’informazione sta diventando uno dei beni più ricercati dagli attori economici.

L’ambizioso obiettivo del progetto – che oltre a reteSviluppo vede la partecipazione di Sistemi Territoriali S.r.l. (capofila), Simurg Ricerche S.N.C., Istituto di Fisiologia Clinica CNR Pisa e CQR S.r.l. – è quello di distinguersi dalla “concorrenza” internazionale e migliorare uno strumento open source (StatPortal Open Data) ed un portale (DatiOpen.it) interamente “made in Italy” che possano essere dei nuovi punti di riferimento in quanto ad innovazione, integrazione, analisi e visualizzazione dei dati.

Maggiori informazioni sono presenti sul portale del progetto ODINet

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Tommaso RossiOpen Data: un progetto di innovazione dalla Toscana

La febbre da start up…qualcosa ha prodotto!

by Tommaso Rossi on 12 Aprile 2013

Quasi non se ne può più, ormai sembra che tutti siano diventati startupper, imprenditori innovativi e pionieri impavidi.

Ti giri per strada e qualcuno ti nomina di iniziative legate alle start up, di incontri con i venture capitalist, di incubatori tecnologici e di spazi per il coworking. Il nome straniero non aiuta, Start up non sembra possa divenire una parola simpatica e alla portata di tutti. Per intendersi, le Start up sono aziende che nascono da zero attorno ad un’idea innovativa. Sono state la formula americana del successo della Silicon Valley, esportata in molte parti del mondo e approdata anche in Italia. Il ministro Passera un anno fa ha presentato una legge specifica per il supporto alla nascita delle imprese innovative, e nel recente Cresci Italia del dicembre scorso, cosa rara, sono state inserite alcune agevolazioni fiscali.

Questi interventi normativi sono stati accompagnati da un’importante campagna informativa, promozionale e pubblicitaria legata al brand Start up. Sono nati blog specializzati, movimenti di opinione, associazioni, progetti imprenditoriali e un flusso imponente di informazioni. Poco male, anzi molto bene. Ma fortunatamente non solo questo. Ecco la buona notizia di un impegno che sta portando ad alcuni risultati, fortunatamente tangibili. Nei primi tre mesi dell’anno sono nate 307 start up e ai primi di aprile siamo a quota 453. Con questi chiar di luna, direi che anche se start up non è una parola simpatica, è bene tenercela stretta!

Link collegati:

H-FARM

Progetto RENA

WORKING CAPITAL

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Tommaso RossiLa febbre da start up…qualcosa ha prodotto!

Dura fotografia dell’IRPET sul mercato del lavoro

by Tommaso Rossi on 28 Marzo 2013

Donne e giovani, il sistema Toscano va in crisi sul lavoro

Il recente rapporto annuale dell’IRPET sul Mercato del lavoro (presentato il 15 Marzo a Firenze) ci illustra le difficoltà che la nostra Regione ha vissuto nello scorso anno e le sfide che deve saper cogliere. Stiamo vivendo la più grave crisi del dopoguerra, la Toscana in questi anni ha mostrato una buona tenuta rispetto alla crisi, in alcuni casi superiore a quella di molte regioni. Il quadro è però decisamente peggiorato e tale tendenza non sembra arrestarsi; l’uscita dalla congiuntura negativa è ancora lontana e il mercato del lavoro mostra segnali evidenti di indebolimento.

È indubbio come l’intensità e la durata della crisi siano tali che la ripresa del mercato del lavoro dipenderà giocoforza da una maggiore crescita, parola fortemente richiamata in questo periodo ma che necessita di azioni concrete a livello nazionale e politiche decise e ben mirate a livello locale.

Nel contesto delineato si inseriscono le nuove fasce in difficoltà e le categorie che maggiormente in questi anni sono state penalizzate: i giovani e le donne. Questo aspetto lo vediamo dai numeri: il tasso di occupazione delle donne toscane diminuisce di quasi due punti percentuali rispetto al 2008 passando dal 56,2% al 55,4%. A questo si aggiunge una maggiore penalizzazione sul fronte dei contratti di lavoro, che vede aumentare per le donne il part time involontario, dal 34,7 del 2008 al 45,8 del 2011. Infine, un altro aspetto non trascurabile riguarda l’aumento delle inattive, che sono cresciute del 6% rispetto al 2008.

Rispetto ai giovani, il rapporto evidenzia come sia la categoria demografica più colpita dalla crisi economica e quella più in generale penalizzata dai cambiamenti strutturali intervenuti nel mercato del lavoro negli ultimi dieci anni. In tale contesto è andata poi ad operare la nuova legge del ministro Fornero, i cui effetti non sembrano essere al momento visibili rispetto alle semplificazioni per sbloccare il lavoro di giovani e precari.

La posizione dei nostri giovani risulta essere più grave rispetto alla media europea con percentuali simili agli altri paesi della fascia mediterranea. Anche su questo punto alcuni numeri possono aiutarci a comprendere la gravità del fenomeno: la fascia di età tra i 15 e 24 anni ha perduto 170 mila occupati, raddoppiando la disoccupazione dal 15 al 30%, mentre raggiunge il 20% nella fascia 15-29. Circa 18 giovani su 100 appartengono oggi ai Neet (giovani che non studiano e non lavorano). Nel 2008 erano 13 su 100. Fra i Neet la prevalenza degli inattivi è maggioritaria (62%), così come la quota di giovani senza esperienze di lavoro (41%).

Questo quadro ci narra un situazione complessa, dove la legislazione nazionale deve fare la propria parte in modo determinato sostenendo e supportando queste categorie in forte difficoltà. Ma anche la Regione Toscana non può esimersi da prendere dei provvedimenti maggiormente decisi e mirati alle singole realtà.

Da tale situazione si esce solo se si propongono interventi concreti per agevolare il mercato del lavoro delle donne, giovani e meno giovani, e delle misure più adeguate a colmare il problema della conciliazione lavoro-famiglia, questione che penalizza maggiormente le donne che devono essere assunte con contratti più stabili.

Sui giovani, il dato che emerge è che giovaniSI non basta. Serve un maggiore sostegno all’occupazione in generale e non solo ai tirocini retribuiti, ancora oggi strumenti poco remunerati e in alcuni casi utili per approfittare delle speranze dei giovani. Così come servono delle misure fiscali più coraggiose per agevolare l’impresa che assume, proponendo anche maggiori sistemi di premialità. Ma serve anche dare entusiasmo a quei giovani che hanno perso speranza nel futuro, ma qui il compito non è solo politico!

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Tommaso RossiDura fotografia dell’IRPET sul mercato del lavoro

‘Bilancio in Comune’ di Monteriggioni: tra pochi giorni i risultati della votazione dei progetti elaborati dai cittadini

by Tommaso Rossi on 12 Settembre 2012

È solo questione di ore ed i cittadini di Monteriggioni conosceranno il risultato finale del percorso di democrazia partecipata, denominato “Bilancio in Comune”. Il progetto, sostenuto e co-finanziato dalla Regione Toscana attraverso l’Autorità per la partecipazione, è iniziato a maggio 2012 ed ha visto la partecipazione attiva di circa 200 cittadini (su 9.500 abitanti) che hanno preso parte ad una serie di incontri di discussione, progettazione e votazione.

I cittadini hanno elaborato molte indicazioni, la cui fattibilità è stata prima stata vagliata dagli uffici comunali e poi sottoposta alla votazione di tutta la popolazione. Sono stati in tanti a cimentarsi con questa esperienza di democrazia diretta, votando via Internet oppure portando personalmente in Municipio la propria scheda. In totale sono stati 53 i progetti elaborati dai cittadini e poi vagliati dal voto popolare: 19 per la zona nord e Chiantigiana, 34 per la zona lungo la Cassia più vicina al Capoluogo (San Martino, Uopini, Tognazza, Fornacelle e Monteresi). Questi ultimi cittadini hanno votato i progetti relativi alle opere pubbliche (Centro Civico a San Martino, ristrutturazione immobile comunale sede dei Donatori di Sangue di Uopini e nuovo Parco Urbano fra Tognazza e San Martino) ed anche ai servizi pubblici (Scuola, Sport, Sociale, Trasporti); mentre gli altri cittadini si sono concentrati solo sui servizi. Ciascun elettore ha potuto esprimere un voto per ciascuna tema.

“Siamo al gran finale. I progetti più votati saranno quelli che l’amministrazione comunale si impegnerà a realizzare – dice il sindaco Valentini – Il superamento del diffuso risentimento della gente verso la politica passa anche da qui. Dalla riappropriazione del diritto ad essere ascoltati ed a decidere sui progetto di interesse collettivo. Il Comune si è messo in gioco, ma anche i cittadini lo hanno fatto, uscendo dalle case e cimentandosi con i problemi complessi della Pubblica Amministrazione, sia di ordine finanziario che normativo. L’articolazione di Monteriggioni in tante frazioni ostacola una visione comune dell’andamento e del futuro della nostra comunità, ma cresce la consapevolezza dei grandi passi in avanti compiuti in questi anni e quindi della qualità della vita raggiunta”.

Sabato 15 settembre alle ore 10 presso la sede comunale verranno aperte le urne e saranno finalmente resi pubblici i risultati della votazione, alla presenza del sindaco e di tutti i cittadini che vorranno condividere questo momento. I progetti che avranno totalizzato il maggior numero dei voti per ciascun tema saranno quelli che il Comune di Monteriggioni si impegnerà a realizzare, compatibilmente con i tempi ed i vincoli finanziari del Patto di Stabilità. Per la zona 1 i progetti vincitori saranno 4 e 7 per la zona 2.

“Dopo lo spoglio dei voti – conclude Valentini – la palla passa all’Amministrazione perché dovremo inserire quanto deciso nel programma delle opere pubbliche ed iniziare l’itinerario per la loro realizzazione. Una volta terminate le opere, i cittadini potranno osservarle orgogliosi di aver contribuito a deciderle”.

Per saperne di più:

www.comune.monteriggioni.si.it, pagina Facebook Bilancio in Comune, telefono 0577 306634, e mail:partecipazione@comune.monteriggioni.si.it , ufficio segreteria del Comune di Monteriggioni via Cassia Nord 150.

Fonte: Comune di Monteriggioni – Ufficio Stampa

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