In Italia sembra esistere la consapevolezza dell’importanza della cultura per l’economia nazionale.
Questo settore però non viene considerato come prioritario, non c’è impegno nella valorizzazione delle sue potenzialità e si resta ancorati all’idea di una cultura appartenente alla sfera del tempo libero, un bene di consumo occasionale e, soprattutto, fuori dal mercato.
In realtà, secondo il Rapporto 2016 “Io sono cultura – l’Italia della qualità e della bellezza sfida la crisi” elaborato da Fondazione Symbola e Unioncamere, il sistema produttivo creativo e culturale italiano rappresenta nel 2015 il 6,1% della ricchezza complessiva del paese, pari a 89.725,2 milioni di euro. Anche a livello occupazionale il settore registra, sul totale della forza lavoro nel 2015, una quota di 6,1%, contando 1, 4919 milioni di occupati.
Se comparato all’economia complessiva del paese, che presenta valori di -0.1% per quanto riguarda il valore aggiunto e -1.5% sull’occupazione, il settore culturale e creativo risulta in crescita. Rispetto al 2011, infatti, è stato rilevato un incremento di 3600 di occupati (+0.2%) e di 538 milioni di euro sul valore aggiunto (+0.6%).
Un dato sull’occupazione di notevole interesse appare nel primo studio sull’Industria della Cultura e della Creatività in Italia pubblicato nel 2016 da EY (Ernst & Young) “Italia Creativa”. E’ emerso infatti che l’industria culturale e creativa si colloca in Italia al terzo posto in termini di numero di occupati sull’economia nazionale, preceduta soltanto dal settore delle costruzioni e da quello dell’industria alberghiera e ristorativa. Inoltre nel 2014, ulteriore elemento in controtendenza, ben il 41% degli occupati nell’Industria della Cultura e della Creatività ha un’età compresa tra i 15 e i 39 anni (a fronte di un valore medio nazionale pari a 37%).
Un pensiero comune è quello secondo il quale l’unico veicolo tramite il quale la cultura possa produrre ricchezza sia il turismo. Questo può portare a concentrare le risorse disponibili esclusivamente intorno a strategie di potenziamento della fruizione di monumenti storici e musei, nonché di attrazione di flussi turistici, rischiando di dar luogo ad economie a basso grado di qualificazione con risultati solo nel breve periodo. Il turismo, pur essendo il principale beneficiario dello spillover culturale, non rientra in realtà nella classificazione dei settori appartenenti al sistema produttivo culturale e creativo, pertanto non ne viene tenuto conto nelle stime sopra descritte. Viene tuttavia considerato come un settore complementare a quello della cultura, che attiva il 37,5% della spesa turistica complessiva in Italia (Symbola, Unioncamere 2016).
Quando si parla di cultura, soprattutto in Italia, la si identifica inoltre spesso con il solo patrimonio storico-artistico. Quello che invece è importante sottolineare è che il sistema produttivo culturale e creativo è molto più ampio e che uno dei suoi elementi caratterizzanti è proprio la creatività. Quello del patrimonio storico-artistico è solo uno dei suoi settori costituenti che, per altro, si posiziona ad una delle ultime postazioni in termini di valore aggiunto ed occupazione. Performing arts e arti visive, Industrie creative e Industrie culturali sono gli altri settori che vanno a formare il così detto core delle attività culturali. Ad essi si aggiunge quello del Creative Driven, che, da solo, rappresenta il 38,2 % del valore aggiunto e il 38,7% degli occupati del sistema produttivo culturale e creativo.
Alla luce di questi dati, non resta che prendere in prestito le parole di uno dei maggiori rappresentanti della cultura italiana, Umberto Eco: “Con la cultura si mangia, non si mangia con l’anoressia culturale”.